di Antonella Misuraca e Lucia Luminasi, presidente e vicepresidente del CUFO DSM-DP di Bologna
Uno dei 30 Tavoli (https://site.unibo.it/gmsm2022/it/programma) promossi da Azienda USL, Università, e Città Metropolitana di Bologna nell'ambito dell'iniziativa "Salute mentale come bene comune" è stato dedicato ai caregiver e si è svolto l'11 ottobre dalle 16 alle 18 presso la Biblioteca dell’Istituzione Minguzzi in via Sant’Isaia 90, organizzato all’interno dell’iniziativa “Salute mentale come bene comune nella Città Metropolitana di Bologna”, voluta per celebrare, con un fitto programma di appuntamenti rivolti ai cittadini sul territorio metropolitano, il World Mental Health Day 2022 (10 ottobre).
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Ma cosa significa caregiver? Il termine inglese letteralmente significa “colui/colei che dà cura” , quindi si può riferire a chiunque si occupi di persone che hanno bisogno di assistenza. Ma c’è un caregiver che vive in una situazione tutta particolare, in quanto la cura che offre, gratuitamente e continuativamente, si svolge dentro casa o comunque nell’ambito della famiglia.
La scelta di diventare caregiver familiare è spesso forzata, in quanto i servizi territoriali non riescono a coprire in toto il bisogno di accudimento delle persone non autosufficienti e la famiglia, quando c’è, è la prima risorsa in campo. Che la funzione di accudimento, poi, ricada elettivamente sulla componente femminile, va da sé. In Italia c’è un esercito silenzioso di caregiver familiari, composto in prevalenza di donne (madri, mogli, figlie, nipoti, sorelle...). Molti sono giovani, e vi sono purtroppo anche minorenni, bambini che hanno dovuto presto imparare a occuparsi di un familiare in difficoltà. Il caregiver familiare spesso deve rinunciare all’impegno esterno (lavoro, studio) o ridimensionarlo, e sacrificare il suo tempo libero, impoverendo i suoi rapporti sociali fino a rischiare l’isolamento. Fatica, frustrazioni e tristezza mettono inoltre a repentaglio la sua stessa salute fisica e psichica. E questo avviene spesso in un mondo a parte, perché i portatori di disabilità o di disturbi psichici nella società sono ‘invisibili’, isolati.
Nel momento di una diagnosi di disabilità, alla nascita o nella prima infanzia, il genitore vede mutare il suo ruolo sociale: improvvisamente - e impreparato - si trova a dover svolgere molte funzioni, come quelle relative ad abilitazione e riabilitazione, proprio entrando in quella fase della vita in cui ci si aspetta che si dedichi al fragile nella famiglia completamente. Non si pensa che avviluppandosi in una spirale di incombenze e rinunciando sempre a qualcosa, tenda a perdere quell’equilibrio che è necessario non solo per sé, ma anche per svolgere il ruolo del prendersi cura. Può succedere, così, che si ammali anche il genitore, di fatto perdendo la possibilità di essere un caregiver nel vero senso della parola.
Da molti anni le associazioni come GRD Bologna per le famiglie dei disabili intellettivi e Angsa/Didi ad Astra per il parent training sono attive con psicologi e operatori specializzati, perché hanno riconosciuto questo bisogno di sostegno e contenimento in particolare per i giovani familiari. Sottolineiamo i giovani, perché è proprio lavorando sui giovani che si possono vedere i risultati migliori. Si deve credere nelle potenzialità e non guardare solo a quello che non c’è. Si fa comprendere come ci si può organizzare mantenendo un proprio equilibrio, che l’educazione del fragile è sempre possibile, nel rispetto delle sue fragilità, che il genitore caregiver ha una sua personalità da non annullare, che la famiglia non deve ruotare intorno solo ai bisogni del più fragile, che il benessere futuro dipende dal benessere di oggi, benessere di tutti, in una vita comunitaria.
Diversa, anche se non meno difficile, è la situazione dei caregiver non più giovani, spesso alle prese con patologie invalidanti gravi e comunque con anni di accudimento alle spalle, che si pongono angosciosamente la domanda : “Cosa avverrà dopo di noi?”. Il loro bisogno è soprattutto quello di supporto, di sollievo e di risposte rassicuranti da parte della comunità.
La diagnosi di disturbi psichici, infine, avviene generalmente nell’adolescenza e in età giovanile o adulta, o nel caso di patologie senili come l’Alzheimer ancora più avanti. In famiglia è come se scoppiasse una bomba: tutti gli equilibri si spezzano e ci si trova di fronte a un mondo sconosciuto che spaventa e che non si sa come affrontare. Poi, nel tempo, si viene a creare un equilibrio precario, una quotidianità di difficile gestione, tra gli alti e bassi della patologia e in rapporti coi curanti e coi servizi non sempre agevoli. Anche per le famiglie di persone con disturbi psichici il rischio di isolamento, sia per sovraccarico che per stigma, è grande e altrettanto grande è la preoccupazione per il futuro.
La famiglia in Italia, lo sappiamo tutti, è storicamente il primo vero presidio di welfare, è una risorsa originaria forte, che dà risposta a molteplici esigenze, ma è anche in rapida trasformazione e soffre della generalizzata insicurezza che il mondo occidentale sta attraversando a causa della precarietà sociale, economica e valoriale. A maggior ragione quindi il caregiver familiare è sottoposto a una pressione molto forte.
La consapevolezza del valore sociale della funzione svolta dai caregiver familiari è andata aumentando negli ultimi decenni, innescando un processo che ha dato origine a diversi provvedimenti di sostegno. Con deliberazione legislativa 87 del 25 marzo 2014 la Regione Emilia-Romagna, prima in Italia, ha approvato le “Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare – persona che presta volontariamente cura e assistenza”, istituendo anche il Caregiver day, una giornata dedicata a dare voce alle tante persone invisibili che scelgono di dedicare il loro tempo a chi non è in grado di vivere in autonomia. L’iniziativa, seguita da altre Regioni, è sfociata poi in diverse proposte di legge a livello nazionale, che non sono ancora giunte in porto.
Dietro proposta del CUFO e del DSM-DP quest’anno l’AUSL di Bologna ha destinato parte dei fondi regionali ad attività gruppali da organizzarsi in base a progetti delle associazioni. Dopo un buon esito nel primo semestre 2022, con progetti destinati prioritariamente ai caregiver di minori e giovani adulti, quest’estate il DSM-DP, con un secondo avviso, ha esteso il target ai caregiver di adulti seguiti dai servizi di psichiatria, invitando le associazioni a presentare la “Manifestazione di interesse per lo sviluppo di progetti finalizzati al sostegno dei caregiver che assistono i loro familiari al domicilio mediante azioni di Psicoeducazione e Sollievo - Area Salute Mentale”.
Hanno accolto l’invito sette associazioni del CUFO fra cui quattro afferenti al settore della neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza (GRD Bologna, ANGSA Bologna, Didì ad Astra e Passo passo) e tre a quello della psichiatria adulti (Itaca Bologna, Il Ventaglio di ORAV, AITSaM Bologna). Le idee progettuali sono state tutte accolte favorevolmente. Una volta sottoscritta la relativa convenzione con il DSM-DP, le associazioni hanno quindi dato l’avvio alle attività.
La partecipazione di associazioni della Psichiatria Adulti bolognesi è stata una importante novità, in quanto la definizione di caregiver viene storicamente riferita per lo più a chi si occupa di anziani non autosufficienti o di disabili, e non ai familiari di persone con disagio psichico, a meno che non sia stata riconosciuta ufficialmente la loro disabilità. Perciò nell’immaginario collettivo, compreso quello degli interessati, il concetto di ‘familiare’, in psichiatria, non combacia con quello di caregiver, anche perché si tende – e giustamente – a mettere il più possibile l’accento sul protagonismo dell’utente, in quanto adulto e padrone della sua vita. È anche vero, però, che sono molti i familiari di adulti con problemi psichiatrici cronici e gravi che occupandosi in maniera impegnativa e prolungata dei loro cari, svolgono funzioni di caregiver a tutti gli effetti e sostengono un grande stress, nella difficoltosa quotidianità e nella preoccupazione sia per i propri cari che per se stessi. Per questo si è ritenuto giusto trovare modi per dare anche a loro informazione, supporto e sollievo.
La partecipazione a comitati come il Cufo ha permesso la contaminazione di buone prassi e questo ha incoraggiato le associazioni della Psichiatria Adulti a prendere iniziative a favore dei caregiver, proprio come fanno da anni con successo le associazioni della NPIA: ancora di più ci teniamo a sottolineare che fare rete porta solo vantaggi per tutti.
Le attività proposte dalle associazioni stanno accogliendo molto interesse, sia da parte dell’utenza che da parte degli operatori dei servizi. Si spera di poterle proseguire anche dopo la conclusione dei presenti progetti e moltiplicarle negli anni avvenire.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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