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Le difficoltà dei genitori dei tossicodipendenti e i rapporti con le istituzioni

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Daniele Collina e Federico Mascagni, redattori di Sogni&Bisogni

Cosa ci si aspetta dai propri figli quando non ci si chiede che cosa i nostri figli si aspettano da noi? Una domanda che raramente si pongono i genitori davanti al compito difficile di crescere una persona.

NastroRossoGrande

Forse potrebbe essere questo il senso della chiacchierata con Armanda Querzoli, presidente dell’associazione Il Nastro Rosso, e con Nicola Filippi, vicepresidente. Da circa quarant’anni l’associazione, che ha iniziato col nome di Gruppo Alamo, si occupa di un problema che è ritornato a essere molto diffuso: la tossicodipendenza.

Si tratta di un tema che raramente i comuni cittadini associano alla Salute Mentale, ma in realtà l’istituzione che se ne occupa è proprio il Dipartimento di Salute Mentale, che comprende al suo interno anche le Dipendenze Patologiche. E questa inclusione deriva dal fatto che l’uso di sostanze si insinui nelle pieghe del disagio psichico, prenda possesso del corpo e della mente dei più giovani anche a causa di una sostanziale carenza di informazione efficace sulle sostanze.
Manca un dialogo con chi come noi ha vissuto e vive il problema, dialogo che dovrebbe iniziare fin dal contesto delle scuole medie” dice Armanda, individuandolo come la soglia, sempre più bassa, in cui i preadolescenti entrano precocemente a contatto con le sostanze senza nessuna consapevolezza.

Ma la testimonianza di Armanda e Nicola va ben oltre, delineando una situazione sanitaria pubblico-privato che secondo loro lascia spazio a profonde riflessioni e, in un caso, a vero sbigottimento.
Una volta eravamo liberi di indirizzare i figli dei nostri soci nella struttura che ci sembrava, per una serie di requisiti individuali, più adatta alle esigenze di ciascun tossicodipendente. Ma ora è diverso: sono i SERT che pagano la retta, quindi si assumono la responsabilità di dove inviare le persone prese in carico.
E poi la testimonianza shock, che riguarda la figlia di una loro associata.
L’abbiamo letteralmente recuperata dalla strada in condizioni molto critiche. Una doppia diagnosi, di tossicodipendenza e di disturbo mentale. Ha manifestato la volontà di disintossicarsi. Il SERT l’ha mandata in una nota struttura bolognese per circa due settimane di cura per la parte riguardante la sua salute mentale. E abbiamo scoperto che nella struttura “la roba” circola.”
Una loro denuncia raccolta sulla base di esperienze dirette, gravissima soprattutto trattandosi di una struttura dove vengono ricoverati pazienti della Salute Mentale che rischiano di entrare a contatto per la prima volta con le sostanze. Ma non finisce qui.
Dopo le due settimane in una struttura della Salute Mentale spediscono i ragazzi per una settimana in una struttura per la disintossicazione. Tempi talmente brevi che, secondo noi, quasi tutti coloro che escono tornano a "farsi dopo poco tempo”.
Se invece hai 4000 euro esistono realtà private molto efficienti da dove i ragazzi, dopo periodi di trattamento variabili, spesso escono “puliti””.
Hai i soldi? Manda i tuoi figli subito in una comunità seria.” Questo è il suggerimento, pieno di amarezza, della presidente e del vicepresidente dell’associazione.

L’associazione conosce il Comitato Utenti Familiari e Operatori della Salute Mentale ed é entrata a farne parte “per portare le nostre istanze in una situazione di gruppo, di coesione e di esperienza, dove il confronto con l’istituzione per rappresentare i problemi è consueto.”
I tempi burocratici per la presa in carico dei tossicodipendenti, ci raccontano, sono lenti: tre mesi per avere una risposta è troppo tardi. Nel frattempo il ragazzo può avere cambiato idea, perché la volontà in loro è fragilissima e la loro collaborazione è un treno che passa e che non si può perdere.
C’è anche da parte delle istituzioni una eccessiva fiducia nei farmaci, continuano Armanda e Nicola, e nelle sostanze scalari sostitutive. Che da sole non servono.

Ritengono che sul piano umano gli operatori abbiano perso capacità, quella empatia e “scaltrezza” necessarie per entrare in sintonia con la mentalità dei tossicodipendenti.
Da parte degli psichiatri c’è una “iperspecializzazione” che li porta ad analizzare l’andamento del paziente in modo sempre più scientifico e sempre meno umano, basato sempre più su statistiche e sempre meno su un dialogo diretto ed efficace con l’utente.”

L’associazione “Il Nastro Rosso” è decisamente coraggiosa. Non solo per la franchezza con cui parla, ma perché mette in discussione anche i ruoli genitoriali.
Il genitore deve seguire una certa linea di condotta con il figlio tossicodipendente per mantenere una continuità nel lungo e difficile percorso della disintossicazione. Se i ragazzi non vengono inviati ai nostri incontri perché il padre quella sera non ha potuto accompagnarlo in macchina, la madre era impegnata, allora è inevitabile che i ragazzi anche più volenterosi abbiano maggiore difficoltà a intraprendere un percorso di disintossicazione.”
Poi c’è il problema della conflittualità in famiglia e da quali contesti familiari nasce. Nuclei che conoscono già l’uso di sostanze, esperienze di traumi, situazioni di abbandono. La sostituzione dell’affetto e della relazione con le cose. L’autoisolamento del gruppo familiare, il senso di autostigma, che preclude la possibilità di confronto e quindi di risposte. “Per poi ritrovarsi adulti fragili, senza essere autonomi in nulla eccetto che nella ricerca sistematica delle sostanze.”

Ogni venerdì lo sportello del Nastro Rosso apre in presenza, mentre gli altri giorni sono al telefono anche per sentire come vanno le cose nelle 25 famiglie che seguono. “Sono una bisnonna” dice Armanda, quasi a sottolineare come possa essere in teoria distante dal mondo culturale dei ragazzi più giovani. “Eppure con una bisnonna come me i ragazzi parlano di loro stessi, raccontano le loro storie. E questo aprirsi ricco di emozioni sfocia in riunioni di ore. Il tempo vola e i ragazzi guardano l’orologio e si rendono conto che per la prima volta si sono trovati fra loro a parlare in gruppo così nel profondo senza neanche toccare una sigaretta. Ed è anche per questo che tornano”.
Soprattutto perché hanno trovato una persona che, per quanto bisnonna e lontana dal loro mondo, ma sempre con un figlio uscito dalla tossicodipendenza, è capace di ascoltarli senza perdere un grammo di fiducia e di autorevolezza.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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