di Laura Pasotti, redattrice di Sogni&Bisogni
“Viviamo in grande difficoltà da tantissimo tempo, ma da tre anni e mezzo stiamo sopravvivendo e basta”, dice Franca Pastorelli, presidente dell'associazione I Diavoli Rossi e caregiver a tempo pieno del figlio Marco, che quest'anno compirà 37 anni. Da tre anni e mezzo, infatti, Franca ha ridotto al minimo la partecipazione in presenza e lei e la sua famiglia vivono quasi isolati.
Poco prima che esplodesse la pandemia, Marco ha avuto un attacco epilettico; è caduto, si è fratturato una spalla e una gamba e gli hanno dovuto mettere due protesi. L'emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del Covid poi gli ha impedito di fare la riabilitazione di cui aveva bisogno e i farmaci hanno annientato i suoi anticorpi.
“Qualche anno fa il giornalista Federico Mascagni ha scritto che mio figlio è un 'ragazzo di cristallo', ed è davvero così – dice Franca – Marco ha diverse patologie e fragilità e, anche se gli interventi sono andati bene, ora non si muove più. La cosa peggiore è che tutte le medicine che prende gli hanno azzerato le difese immunitarie, quindi oltre a non poter più fare quello che faceva prima, se lo avvicina qualcuno con la tosse rischia di prendersi una polmonite. Ecco perché viviamo isolati”.
Per proteggere Marco, che non ha difese, i suoi genitori escono sempre con la mascherina FFp2 e hanno sospeso tutte le attività sociali. Una situazione che ha peggiorato i suoi sintomi, in particolare la difficoltà di comunicazione.
Marco ha avuto problemi fin dalla nascita, anche se lei e suo marito Floriano non se ne sono accorti subito: “Era il 1986 e ancora si parlava poco di autismo. Nel corso degli anni le diagnosi sono state le più diverse, dalla sindrome di Tourette alla schizofrenia. Marco ha sofferto molto, gli hanno fatto esami, è stato ricoverato e intubato, e tutti i farmaci che gli hanno dato, con lo sviluppo, hanno peggiorato le sue condizioni aggiungendo pesanti effetti collaterali”. Franca oggi si batte perché per chi vive in situazioni simili a quella di Marco si creino contesti di accoglienza, terapie comportamentali, attività insieme agli altri, e non ci si affidi soltanto ai farmaci.
Quando Marco ha compiuto 11 anni, la famiglia si è trasferita in campagna, a Pontecchio Marconi. “Eravamo circondati da pregiudizi, Marco a scuola era isolato dagli altri bambini, e così abbiamo fatto questa scelta. Con il tempo siamo maturati anche noi e abbiamo superato sia lo stigma esterno che quello che ci eravamo auto creati in quanto genitori che faticavano a capire cosa stava accadendo a nostro figlio. Oggi siamo ancora qui e ci sentiamo accolti”.
Marco ha fatto le scuole a Bologna, dai Salesiani e al San Vincenzo, e ha frequentato un centro diurno in via degli Orti, che raggiungeva in autobus, da solo. Fino al 2019 andava a sciare, a giocare a pallone insieme all'associazione I Diavoli Rossi, frequentava la cooperativa Lo Scoiattolo, partecipava alle iniziative dell'associazione La Trottola.
“Ora nostro figlio non riesce più a fare niente e vive di bei ricordi”, dice Franca. Cammina, sì, ma non riesce a piegarsi, a casa ha una sedia particolare che lo aiuta a stare dritto e in macchina deve viaggiare disteso. Non può restare da solo, ha bisogno di aiuto per lavarsi e per andare in bagno. “A distanza di tre anni dagli interventi, sta rigettando la protesi alla spalla e sta male. Va avanti a tachipirina e noi ci sentiamo impotenti. Se mi dicessero che andando in America potrebbe migliorare, io ci andrei. Ho già cambiato la mia vita tante di quelle volte, potrei farlo ancora. Ma al momento la situazione è questa. Stiamo sopravvivendo”.
Nel 2008 Franca e la sua famiglia hanno incontrato I Diavoli Rossi, associazione nata su iniziativa di un gruppo di operatori che proponeva lo sport come terapia e che poi è diventata una Polisportiva, e di cui lei è ancora oggi presidente. In quel periodo, lei ha lasciato il lavoro, “anche se Marco era più autonomo, non potevo lasciarlo solo. Mio marito era spesso via per lavoro e io facevo i turni in azienda, così sono rimasta a casa. Siamo fortunati perché ce lo siamo potuti permettere”, racconta Franca, che oggi è in pensione.
L'incontro con I Diavoli Rossi (associazione che fa parte del Cufo - Comitato Utenti, Famigliari e Operatori) ha cambiato la vita di Franca, Floriano – che è diventato volontario dell'associazione – e Marco. “Ci hanno fatto rinascere. Abbiamo vissuto anni molto belli con loro, con La Trottola e la Cooperativa lo Scoiattolo. I problemi c'erano ma eravamo contenti, perché io e mio marito abbiamo costruito intorno a Marco un contesto accogliente, una rete di amici che, oggi, ci dà forza. Anche se non possiamo vederci come prima, le telefonate o le videochiamate riescono a spezzare la nostra solitudine”.
Oggi Franca e la sua famiglia vivono alla giornata. La vita gira intorno al benessere di Marco. Al mattino un po' di ginnastica, con gli esercizi imparati dalla fisioterapista. Se c'è il sole, una passeggiata fuori, “solo noi tre”. Le parole crociate e qualche libro di storia e geografia, “quelli che gli piacciono tanto”, per stimolarlo. E poi, una volta alla settimana, la videochiamata con Giacomo, l'educatore che prima lo seguiva per tre ore la settimana, “anche se è poco, serve per alleviare un po' la sua solitudine”. A mancare però è il sociale, gli amici, le gite, le partite di pallone. “Facciamo quello che si può, che è poco rispetto a quello che vorremmo, ma per adesso la nostra vita è questa”.
Aiuti dai servizi non ne chiede, anche se ne avrebbe diritto, perché, “non me la sento di far venire in casa gli assistenti sociali per lavare mio figlio con il rischio che, a causa delle sue bassissime difese immunitarie, le sue condizioni peggiorino. Lo lavo io, così come sono io ad alzarmi di notte ogni volta che ha bisogno di andare in bagno. Se le cose dovessero migliorare, potrei chiedere un po' di assistenza per la fisioterapia. E potremmo ricominciare a vivere, oggi purtroppo non è possibile”.
Di tempo per sé poi nemmeno a parlarne. “Se Marco ha una giornata buona, esco per fare delle commissioni, tutta intabarrata. Cerco di sbrigarmi in qualche ora, mentre a casa c'è Floriano. Dal parrucchiere non ci vado e nemmeno a mangiare la pizza con le mie amiche, un po' perché lui non può stare da solo e un po' perché non me la sento di andare in mezzo agli altri. Il tempo per me? A volte mi fermo per cinque minuti, vado in terrazza e respiro un po' di aria. Mi serve per staccare un po' la spina”.
Nonostante le difficoltà che Franca e la sua famiglia vivono da tutta una vita, lei rimane positiva. “Prima ero contenta, riuscivo a gestire le cose nonostante i problemi. Marco era sereno e avevamo un contesto accogliente. Poi tutto si è fermato e il Covid ha rovinato tutto. Ma piangersi addosso non serve a niente. Con Marco cerchiamo sempre di essere sorridenti e di trasmettergli un po' di serenità, spiegandogli che il Covid ha limitato tutti, non soltanto lui”.
L'unica cosa che ha sostenuto Franca nei momenti difficili è la solidarietà del gruppo delle associazioni, una rete di amici che non li ha mai lasciati soli. “Non ci hanno mai abbandonati e anche oggi ci chiamano al telefono anche solo per sapere come stiamo. Sono cose che fanno la differenza. Anche l'ex direttore del Dipartimento, Angelo Fioritti, mi ha aiutato molto. Se ho bisogno lui è sempre disponibile”.
Marco ha sempre parlato poco, ma oggi quasi per niente. Però scrive e “chiede cose umane, ad esempio gli piacerebbe avere una ragazza”. Franca spera di poter uscire da quello che definisce “un momento difficile”, vorrebbe che le condizioni fisiche di suo figlio gli consentissero di nuovo di stare in mezzo agli altri, così lei e Floriano tornerebbero a vivere. “So che non potrà giocare a pallone, ma potrà fare altro. Se non potrà correre, camminerà. In solitudine grandi cose non ne se ne possono fare. Questa non è vita”.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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