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Salute mentale e carcere: la detenzione influisce anche sulla salute dei detenuti

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Una luce elettrica sfarfallante che non viene spenta nemmeno la notte. Qualche pezzo di cartone fra le sbarre per schermarla. Il condizionatore è rotto da tempo e non si riesce a respirare mentre tutto attorno è sporco e maleodorante.

Foto tavolo carcere

Con la coda dell’occhio puoi vedere il movimento continuo degli scarafaggi che corrono da un buco all’altro alla ricerca di avanzi. Il resto è rumore, costante rumore che rimbomba per tutto il braccio. Dai lamenti notturni più sommessi alle urla giornaliere. “Se il reinserimento è un diritto costituzionale come facciamo a farlo rispettare con le carceri in queste condizioni?” La domanda retorica proviene da un membro del consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna che si occupa delle condizioni e dei diritti dei detenuti della Dozza.

Il problema secondo tutti i partecipanti del tavolo dedicato a salute mentale e carcere è l’annosa mancanza di finanziamenti dedicati a chi è privato della libertà perché autore di reati. In realtà il problema riguarda le condizioni generali della salute dei detenuti, con un’infermeria che funziona con difficoltà. Il numero dei medici è insufficiente, sia per una tendenza preoccupante che riguarda l’intera sanità, cioè la mancanza di un ricambio fra medici pensionati e nuovi ingressi, sia per la scarsa appetibilità di coprire un posto impegnativo come quello del medico in un penitenziario.

Il carcere è un luogo che porta all’abbruttimento e chi sconta la pena ne esce peggiorato socialmente e mentalmente”, racconta Nadia, volontaria dentro il carcere della Dozza. Le fa eco Antonietta, che lavora presso una struttura dove vengono inviati gli autori di reati in misure di residenza: “C’è un clamoroso aumento di comorbilità, se non addirittura di doppie diagnosi, che sono state sottovalutate durante le carcerazioni anche più lunghe e si sono aggravate nel tempo”. La pena è quindi doppia: detentiva e incisiva sulla salute del detenuto.

Fernanda, volontaria in carcere dell’associazione AVOC (Associazione VOlontari del Carcere), ricorda come gli scompensi avvengono nel primo periodo di detenzione a causa del forte impatto con un ambiente invivibile sotto ogni punto di vista, sia sociale che ambientale. Non è un caso, aggiunge Fernanda, che i suicidi siano sempre più numerosi.
Carolina, educatrice e mediatrice per lo sportello dei detenuti di origine straniera, indica come patogena la mancanza di attività dentro al carcere, favorendo una situazione di reclusione e abbandono tali, soprattutto nelle lunghe detenzioni, da determinare nel tempo problemi di salute mentale. Si assiste, in sostanza, a una crisi della progettazione dentro il carcere: il lavoro e la frequentazione di corsi che dovrebbero interessare la maggior parte dei detenuti è invece una condizione quasi elitaria.

Durante la discussione emerge un pregiudizio nei confronti dei disturbi mentali da parte degli operatori volontari, sia delle associazioni che dell’ordine degli avvocati (sebbene entrambi in buona fede): si pensa infatti che i disturbi siano la causa dei reati commessi, quando in realtà essi dipendono soprattutto dalle circostanze e dal contesto in cui l’autore del reato è cresciuto o che ha frequentato. Esattamente come tutti gli altri autori di reati. La distorsione della realtà, l’ideazione paranoica, può essere tutt’al più una miccia accesa nei casi di individui con disturbi che hanno un vissuto fatto di violenza. È evidente perciò la necessità di creare una forte rete di confronto e diffusione dei saperi che coinvolga operatori, famigliari, istituzioni affinché non ricada sulle persone con fragilità anche lo stigma di potenziali criminali o di individui comunque pericolosi.

Davanti a questa precisazione gli operatori hanno reclamato un coinvolgimento anche della polizia penitenziaria nella formazione per comprendere come viene gestita la salute mentale nella normalità; per capire cosa sono i farmaci, quando vengono prescritti e perché vengono somministrati solamente dai medici.
Fra le proposte spiccano quella dell’assistenza psicologica alle famiglie delle persone autrici di reato e la gestione dei conflitti interni alle carceri, con particolare riferimento a chi soffre di disturbi mentali. Qualcuno, come Fernanda, chiede anche maggiore dialogo fra istituzioni carceraria e sanitaria “per evitare di fare i salti mortali per ottenere una visita o avere una prescrizione di farmaci presso il CSM”.
La conclusione la lasciamo al direttore del DSM-DP dell’AUSL di Bologna Fabio Lucchi che, fuori da ogni provocazione, chiede agli intervenuti: “E se il prossimo tavolo lo tenessimo dentro il carcere?




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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