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Diritti delle persone disabili, gli incontri del Minguzzi per mettere in rete le associazioni

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

L’ampia sede dell’Istituzione Minguzzi, centro studi sul mondo socio-assistenziale, che fa capo alla Città Metropolitana di Bologna, trasmette subito l’idea di trovarsi in un importante centro del pensiero cittadino sulla salute mentale.

 Foto PistoneRitagliataGrande

Un lungo corridoio interseca gli uffici dove lavora il team di scienziati sociali coordinato dalla professoressa Bruna Zani. È qui che incontro Francesca Pistone, antropologa che da quest’anno si occupa per l’istituzione del tema della disabilità. “Il compito che ci siamo dati è quello per prima cosa di mappare le associazioni dell’area metropolitana (circa 140, prevalentemente di familiari che offrono servizi socio-assistenziali) e in generale tutti gli enti che si occupano dei diritti delle persone disabili”.
Un movimento che a Bologna è particolarmente ricco di esperienze. Una ricchezza però dispersiva, che potrebbe invece trasformarsi in una cinghia di trasmissione, una massa critica che si confronti e produca riflessioni. “La soluzione che abbiamo ideato è quella di incontrare le associazioni e trovare una visione comune a livello della città metropolitana”.

L’Istituzione Minguzzi ha recentemente cominciato a mettere in contatto le realtà del territorio organizzando una serie di eventi informativi sulla nuova legge sulla disabilità del dicembre 2021. “Dal dibattito fra le parti che abbiamo riunito è risultato, tra i tanti punti emersi, che la legge attua una discriminazioni tra le associazioni - riporta Francesca Pistone - Il ministero per la disabilità tratta solo con le grandi realtà”.

Per rappresentarsi bisogna contarsi e conoscersi. “Di fronte a questa frammentazione abbiamo fatto incontri con i vari ambiti coinvolgendo dapprima un gruppo di 15 associazioni per stilare una lista aggiornata delle realtà operanti nella città metropolitana”.
L’accessibilità relazionale è un tema che interessa il Minguzzi, utile a scoprire come ci si confronta sulla disabilità fra operatori, familiari, utenti e cittadinanza. “Facendo un’analisi delle pratiche delle associazioni, delle cooperative, delle famiglie si ragiona anche su quale atteggiamento comunicativo mettere in atto”. Per questo motivo il secondo incontro fra le parti interessate, che si è tenuto per via telematica, ha avuto come tema soprattutto quello del linguaggio, del vocabolario da utilizzare per descrivere e quindi dare senso compiuto al mondo della disabilità. I contributi espressi hanno proposto soprattutto riflessioni riguardanti le barriere architettoniche e di relazione che rendono più difficile la vita dei disabili. Ospite dell’incontro Matteo Schianchi, autore di studi sul tema e docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Milano-Bicocca.

Si tratta ovviamente di un work in progress - ha precisato Pistone nel suo intervento introduttivo - perché il concetto di accessibilità cambia in base alle necessità in relazione alla società e alla tecnologia. C’è il rischio che accessibilità diventi un termine incorporato nel quotidiano senza che si problematizzi e storicizzi il termine”.
Matteo Schianchi ha voluto allargare il campo al significato di disabilità chiedendosi cos’è disabile e cos’è abile, come le due condizioni si mettono in relazione fra di loro. “L’inaccessibilità in un luogo fisico rappresenta l'inaccessibilità alle relazioni delle persone con cui si entrerebbe in contatto. Poi c’è la disabilità che rende difficile la relazione per motivi cognitivi e motori”.
Questi primi due spunti iniziali hanno avviato il confronto fra i rappresentanti del mondo dell’associazionismo, che hanno rilevato il rapporto asimmetrico fra curato e curante, creando un conflitto fra il concetto di autodeterminazione e terapia. La criticità si manifesta soprattutto nel momento della presa in carico nel sistema sanitario territoriale. Quando c’è un caso complicato lo specialista stila il suo report, passa il lavoro svolto al medico di medicina generale e il percorso si cristallizza. Si cade insomma nella rigidità delle procedure.

Poi c’è la relazione, che è giusto migliorare negli operatori e tutti coloro che, professionalmente, girano attorno al disabile. Ma deve esserci, dove si può, una reciprocità relazionale del disabile nei confronti di chi ha vicino. Perché le persone che lo circondano nelle attività quotidiane, siano esse il lavoro o qualsiasi altro momento di relazione, non sanno come comportarsi, manifestano imbarazzano e nei casi più estremi sono spaventate. Le persone disabili devono rafforzare le loro capacità di dialogo per aiutare in modo amichevole a correggere i pregiudizi in modo da diventare loro i primi agenti di un cambiamento relazionale.
La disabilità non viene accettata perché non si pensa sia una parte della quotidianità. È un aspetto percepito in modo talmente negativo, una “disgrazia” capitata ad altri, che se non tocchi con mano non puoi comprendere. In questo sta anche il dramma del ruolo dei familiari, isolati e soli nel prendersi carico non solo negli aspetti di care-giving ma a volte anche di facilitazione relazionale.
A Matteo Schianchi e Bruna Zani il compito di tirare le fila di questo incontro di discussione tematica.

Matteo Schianchi: “Oggi oltre ai nostri pregiudizi e al nostro vissuto siamo bombardati da messaggi mediatici e politici di cui non sappiamo molto cosa farne. Slogan logori, spesso che utilizzano l’immagine e il corpo delle persone disabili, luoghi comuni che sono fintamente culturali o addirittura commerciali. Anche le iperboli, i paragoni esagerati con contesti non confrontabili sia storicamente che per condizioni non ci aiutano a entrare in relazione in un modo più armonioso”.
Bruna Zani: “Dobbiamo inserire questo discorso dell’accessibilità relazionale in un ambito più ampio. Che si tratti di disabilità, colore della pelle, relazione con l’altro chiunque esso sia. Bisogna andare oltre il bisogno, altrimenti rischiamo di vedere la persona con disabilità come una persona che ha solo necessità. Tornano in ballo l’educazione, la formazione delle generazioni attuali, il coinvolgimento del personale in servizio e delle persone in cura. Dobbiamo andare oltre e interloquire con la comunità”.
Secondo la professoressa Zani serve insomma proseguire nella costruzione di un coordinamento metropolitano che coinvolga anche altre figure e le strutture che stanno nascendo sul territorio. Certamente le Case di Quartiere e le Case di Comunità, ma anche esperienze organizzate “dal basso” come la Casa di Tina. E con la proliferazione di luoghi di dibattito potrebbe crearsi quella rete di comunicazione trasversale fra persone con problemi differenti ma unite da necessità simili.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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