di Laura Pasotti, redattrice di Sogni&Bisogni
Nei percorsi di salute mentale le pepite esistono. Nell'ultimo anno, il tavolo di lavoro “Qualità Perce... pepite” promosso dal Cufo-SM, sostenuto e apprezzato dall'ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale Angelo Fioritti, e formato da 17 persone (10 tra familiari e utenti e 7 operatori), ne ha mappate 15.
Un numero che non rappresenta la totalità delle pepite, ma solo quelle più fragili, le meno note, quelle a rischio di abbandono e che necessitano di essere rinforzate.
Che cosa sono le pepite? Lo spiega Lucia Luminasi dell'associazione Il Ventaglio di O.R.A.V.: “Sono le pratiche positive che brillano rispetto alla norma, che trascendono quanto dovuto dai servizi secondo i Livelli Essenziali di Assistenza. Sono qualcosa di prezioso come l'oro, perché producono benessere fisico, mentale e sociale per le persone, i loro familiari e gli operatori”.
Un'idea, quella di andare in cerca di pepite, nata durante la pandemia per evidenziare “le strutture che reggevano, le azioni che si mantenevano utili, le semplificazioni intelligenti, le idee nuove, efficaci e migliorative”. È nato così un primo elenco di pepite da covid come “Parla con noi”, il supporto telefonico a utenti, familiari e operatori in crisi, “Uno squillo quotidiano”, una telefonata al giorno per gli utenti che necessitano di sostegno da parte dei Centri di Salute Mentale, “Il tempo per noi”, i piccoli gruppi di auto-mutuo aiuto tra familiari, “Approdare all'isola” per agganciare le persone ritirate in casa, l'alfabetizzazione informatica e il contrasto al divario digitale, le chat di gruppo contro la solitudine, le tecniche che agevolano a distanza, come il fascicolo sanitario.
“Pepite che, in teoria, una volta finita la pandemia non dovrebbero servire più, ma che in realtà continuano a essere utili – aggiunge Luminasi – La telefonata quotidiana, ad esempio, è stata importantissima per molte persone nei periodi di lockdown ma lo è ancora adesso perché le fa sentire seguite. Per noi questa pratica dovrebbe essere continuata, sempre”.
Il tavolo di lavoro non si è fermato alle buone pratiche nate durante l'emergenza da covid e nei 12 incontri mensili ha cercato anche le pepite del tempo ordinario, da riproporre, consolidare e diffondere: i gruppi di familiari utenti e operatori per un sostegno reciproco, le esperienze positive nelle residenze e nei servizi psichiatrici di cura, i momenti di aggregazione per imparare insieme, la voce dell'utenza nella formazione aziendale sui budget di salute o nell'indagine sulle strutture promossa dai Comitati consultivi misti. Tra queste, in particolare, c'è una pepita che Lucia Luminasi tiene a mettere in evidenza ed è quella della formazione psico-educazionale di gruppo per il sostegno dei familiari all'interno dei Centri di Salute Mentale. Nata a Casalecchio di Reno dalla richiesta di un gruppo Ama di familiari sostenuto dall'associazione AITSaM di un contatto più diretto con gli operatori per avere informazioni sui disturbi psichici, sugli interventi proposti, sui servizi del territorio, si è poi ampliata ed è diventata una pepita di informazione reciproca tra operatori e familiari.
“Ma ha rischiato di scomparire ed è stato solo grazie alla determinazione delle associazioni di familiari se è rinata. La dimostrazione che quando una cosa è bella e la si vuole con forza, la si può rivitalizzare”, afferma Luminasi.
La mappatura delle pepite sta andando avanti con le interviste ai partecipanti e la compilazione di schede che descrivono in modo oggettivo le pratiche attraverso una serie di criteri come, ad esempio, il numero delle persone raggiunte, il coinvolgimento o meno dei servizi di salute mentale, i motivi per cui si sono concluse, i punti di debolezza e di forza, gli obiettivi, gli elementi di replicabilità. “Alcuni dati quantitativi permettono di capire se quella particolare pepita funziona solo in un Centro di Salute Mentale o in tutti, se è valida per piccoli gruppi o per un numero di persone maggiore. Le schede consentono di mettere a confronto le diverse situazioni – spiega Luminasi – Tra le pepite mappate ce n'è anche una individualizzata, nata per aiutare una persona in difficoltà che non usciva più di casa, ma che potrebbe servire da volano per far partire attività simili e aiutare chi vive ritirato dalla società come le persone hikikomori o quelle con disturbi psicotici”.
Un altro elemento emerso durante questo anno di lavoro è l'importanza della composizione mista dei gruppi di lavoro, sia nel caso del tavolo “Qualità perce... pepite” sia in alcune pepite come i gruppi psico-educazionali o la valutazione dei servizi. “Questo elemento rappresenta di per sé una pepita ed è risultato uno degli aspetti più qualificanti di alcune pepite – dice Luminasi - Per chi di noi è abituato alla logica del fare insieme non era una novità. La novità era vedere che questa scelta operativa non veniva vista dai professionisti come strana, avventurosa, sperimentale o di nicchia”.
Il Tavolo “Qualità perce... pepite” ora è fermo, ma continua il lavoro di descrizione delle pepite già mappate e di raccolta di nuove segnalazioni attraverso un gruppo ristretto: “Questo lavoro è stato importante e utile perché abbiamo elaborato un metodo e uno strumento, la scheda valutativa delle pepite, che ogni componente del Cufo potrà utilizzare per descrivere una pratica positiva e per valorizzarla”, conclude Luminasi.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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