a cura di Federico Mascagni
La dott.ssa Nolet mi riceve nel suo ufficio all’interno del Centro di Salute Mentale di viale Carlo Pepoli, dove saranno passate molte persone con casi di disturbi dell’umore, del carattere, della mente, diversissimi fra loro. Ecco, se si potesse riassumere con una frase suggestiva questa conversazione si potrebbe dire che la complessità nasce da condizioni estreme di vita vissuta associate ad elementi culturali delle comunità di appartenenza e della globalizzazione.
Il professor Alberto Merini fu il primo a interessarsi all’argomento sul finire degli anni ’90, ma la nuova migrazione si è fatta sentire soprattutto negli ultimi anni, con i nuovi fenomeni migratori non strutturati, per ragioni climatiche, di povertà, di guerra, di persecuzione politica. Negli anni 2006-11 nasce la collaborazione fra la dottoressa Nolet e il dottor Maisto con il Prof. Quaranta, antropologo medico, sviluppando equipes multidisciplinari con tirocinanti antropologi e psicologi. Nel 2006 l’equipe si occupa del primo paziente, un sopravvissuto a uno sbarco a Lampedusa. All’epoca i richiedenti asilo erano 60. Da allora i numeri sono aumentati vertiginosamente e, analizzando le decisioni politiche che incidono sul welfare territoriale, all’intenzione di fermare gli sbarchi di migranti segue una diminuzione delle strutture di accoglienza che rischia di trasformare in fantasmi anche quelle persone che, a causa di shock di varia natura precedenti o successivi all’arrivo in Italia, vivono una condizione di sofferenza psicologica e soprattutto sociale e che si ritroveranno perciò a vagare sul territorio in modo indeterminato e senza garanzie.
Dalla conversazione con la dott.ssa Nolet emerge anche un problema di natura burocratica, cioè tempi lunghi e variabili per la concessione del permesso di soggiorno, che si ripercuote in una condizione “sospesa” da parte dei migranti, che nel migliore dei casi si ritrovano alloggiati in strutture nuove ma con molte regole a volte distanti dalla loro cultura e poco comprese. Situazioni che se prorogate a lungo tendono a ledere la dignità di una persona adulta se non a esasperarla. Orari da rispettare, nessuna visita notturna di ospiti, e altre limitazioni sicuramente motivate da questione di ordine e sicurezza, ma che alla lunga mal si conciliano con una condizione di equilibrio psicologico adulto. Inoltre una confusione normativa riguardante i diritti dei migranti spesso crea confusione sui contorni dell’accesso al Servizio Sanitario Nazionale.
“Un adulto fa fatica ad entrare in una realtà molto strutturata distante dalla propria cultura, a tempo indeterminato. Moltissimi disturbi dell’adattamento si possono manifestare con depressioni o patologie di carattere psicosomatico, come cefalee o altro. Alcuni manifestano disturbi del carattere anche violenti in occasione di eventi di vita di perdita che rievocano eventi traumatici rimossi. E dove non arriva il Servizio Sanitario interviene l’automedicazione, con casi di abusi di alcool o sostanze per timore dello stigma psichiatrico spesso più grave in altre culture. Ci sono, inoltre, numerosi casi di disturbi post traumatici da stress prolungato (PTSD) che possono sembrare esordi psicotici rilevanti” ma possono avere decorsi benigni in tempi relativamente brevi."
Non so se si possa dire sia l’elemento chiave della conversazione con la dottoressa Nolet, ma sicuramente il tema del “fallimento migratorio” è un importante elemento di distinzione fra i casi di depressione presenti fra gli abitanti dei Paesi più ricchi (come i piccoli imprenditori o degli artigiani) e le condizioni degli “sradicati” senza contesti familiari, con amicizie precarie, con difficoltà lavorative e problemi abitativi. Ogni regresso dalla loro condizione precaria rappresenta per questi nuovi cittadini spaesati e sdoppiati tra i riferimenti culturali d’origine e quelli del paese di immigrazione, un colpo durissimo che non può che ripercuotersi sulla loro psiche. E questo al netto della storia alle loro spalle e delle condizioni dei familiari nei Paesi d’origine dai quali migrano.
E allora come uscirne? “Le patologie psichiche espresse dai migranti sono prevalentemente disturbi dell’adattamento secondari a problemi di sradicamento culturale, ad esperienze politraumatiche e a disagio sociale e mancanza di una rete sociale che sostenga la creazione di un’appartenenza. La maggioranza dei disturbi non è molto distante dalla patomorfosi autoctona, solo una minoranza di disturbi mantiene chiare connotazioni culturali e la maggior parte sono propri dell’ambito della psicopatologia della migrazione. E’ importante definire il modo di rappresentarsi del paziente, ricordando i numerosi studi antropologici, psicologici e sociali sul fenomeno migratorio, che è il fattore contestuale specifico determinante.
Si è dimostrato efficace il metodo di presa in cura con equipe multidisciplinare (Medico- psicologo- antropologo) per ricostruire le vicende migratorie e non confondere il significato dei sintomi. I progetti Start-er con finanziamento europeo al Ministero degli interni (il primo tra il 2017 e il 2018 e il secondo prossimo ad essere avviato) hanno consentito un lavoro di partnership tra le associazioni dell’ accoglienza e strutture sanitarie con equipes multidisciplinari, articolato in tutta la Regione Emilia-Romagna per sviluppare competenze specifiche nell’ambito della cura della salute mentale dei nuovi migranti.".
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
presso Istituzione Giancarlo Minguzzi
Via Sant'Isaia, 90
40123 Bologna
Codice Fiscale: 91345260375
email: redazione@sogniebisogni.it