Quando penso al senso di colpa mi viene in mente il racconto “La metamorfosi” di Franz Kafka.
Il protagonista Gregor Samsa si sveglia un mattino per andare a lavorare ma non riesce ad alzarsi dal letto. Si è infatti trasformato in un enorme insetto. Un insetto che pensa e ragiona come un essere umano, come Gregor, ma che è imprigionato nella corazza di un animale orribile.
La sua famiglia vive questa situazione assurda con orrore e rifiuto. Gregor è diventato per i suoi famigliari solo un peso di cui sbarazzarsi al più presto. Un giorno il padre gli lancia contro una mela che lo ferisce e che lo farà morire. Il giorno stesso della sua morte i famigliari, alleggeriti, festeggiano facendo una gita in campagna.
Quando ci si ammala spesso ci si sente un peso per la famiglia ma quando questa malattia si protrae nel tempo, come nel caso delle malattie della nostra mente, il senso di colpa si quadruplica. Infatti non sta scritto in nessun manuale quanto tempo possa durare il processo di guarigione e talvolta si ha l’impressione che gli unici responsabili del nostro star male siamo proprio noi.
Non equipariamo la nostra malattia a una polmonite, a una malattia cardiocircolatoria, al diabete. Il male di vivere è difficilmente classificabile e la sua cura non è facile e scontata. Sembra – a noi e a chi ci sta vicino – che questo malessere sia frutto della nostra immaginazione, una scelta di comodo per evitare i problemi, una forma di pigrizia. Ci ammaliamo per una serie di motivi: l’ambiente, la storia familiare, il patrimonio genetico, i caratteri ereditari, le situazioni di stress, il caso. Ma nessuno sceglie di stare male.
Consapevolmente. Colpevolmente. Con dolo. Eppure il senso di colpa non se ne va. Vediamo i nostri fratelli, i nostri amici che pur essendo cresciuti nel nostro stesso ambiente, pur avendo conosciuto anche loro degli insuccessi, hanno reagito in modo diverso e non sono caduti nella malinconia, non si sono lasciati andare.
Il confronto con gli altri spesso ci uccide perché ci misuriamo sempre con chi è migliore di noi, non con chi è più infelice e sfortunato. Il senso di colpa può distruggere, la sensazione che la responsabilità di una situazione negativa sia solo nostra e non anche degli altri ci fa vivere male. Tutti noi sbagliamo. È normale che facciamo errori. Ma macerarsi nel senso di colpa è sbagliato, non serve a cancellare gli errori e a riportare la situazione a come era una volta.
Talvolta facciamo cose stupide: per seguire l’istinto o il bisogno di trasgressione facciamo scelte di cui poi ci pentiamo. Paghiamo con la sofferenza, nostra e altrui. Siamo fatti così. Sbagliamo, soffriamo, ci pentiamo e poi sbagliamo di nuovo e così via. È difficile vivere senza sensi di colpa. Ma dopo la colpa arriva la possibilità di riscatto, di riprenderci, di essere perdonati e di cominciare da capo. Si tratta di esperienze di ogni giorno che caratterizzano la nostra umanità.
Maria Elena Ghezzi
(Il nuovo Faro - giugno 2014 - Anno VIII - n° 2 tratto da: LiberaLaMente n° 50 feb. 2013)
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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