a cura di Psicoradio
Psicoradio ha parlato con Alfredo Oliveira per farsi raccontare qualcosa di più della “sorella La Colifata”.
Perché nasce Radio la Colifata?
La radio è nata per ridare dignità e voce alle persone con disagio psichico, persone che vivono ai margini della società e confinate dentro un manicomio. La Colifata è nata per creare un ponte di comunicazione e integrazione che permetta di recuperare una vita fuori dall’ospedale, per recuperare la dignità e i diritti come cittadini e anche per lavorare sullo stigma legato alla malattia mentale.
Però pensiamo alla radio anche come uno strumento clinico, utile per sentirsi meglio. Crediamo che La Colifata possa essere terapeutica, aiutare le persone affinché si fortifichino e si costruiscano una loro autonomia, perché questa radio non è un gioco, esiste e ha la potenza di incontrare tante persone. E può essere terapeutica proprio anche perché circola al di fuori degli spazi propriamente terapeutici.
La funzione di noi che collaboriamo non è normalizzare le persone: il nostro ruolo è quello di creare condizioni affinchè il modo singolare di ciascuno di percepire il mondo e comunicarlo sia connesso con gli altri, quelli “fuori”, e questa connessione crei nuovi valori e progetti di vita. E non c’è nulla di più terapeutico di questo, poter sentire che la vita di ciascuno di noi ha un senso, che possiamo progettare e che in più potremo avere diritto di vivere nella comunità, avere un lavoro, degli affetti, avere una dignità. Per questo Radio La Colifata è terapeutica
Che cos’è per i pazienti Radio Colifata?
Penso che per una persona con disagio psichico la radio rappresenti la possibilità di avere diritto alla parola e all’identità.
Credo che sia un’ottima opportunità. Le persone che partecipano a La Colifata non fanno solo terapia; a noi interessa che la radio permetta a ciascuno, nel contatto con gli altri, di costituirsi come un soggetto che cerca qualcosa nella vita. Quello che avviene è una costruzione collettiva che produce un sentimento legato alla dignità e al sentirsi bene per il fatto di fare radio, proprio perché la radio permette di incontrare altre realtà con problemi sociali e di povertà. E la radio può essere il mezzo per modificare queste realtà
Credo che chi ascolta La Colifata senta uno spazio fresco spontaneo, dove c’è discussione e comunicazione. E’ un progetto vivo, che entusiasma, e questo arriva, si pecepisce. La Colifata vive da 23 anni ma è ancora un progetto fresco, dinamico; si apre agli imprevisti, a tutto quello che può succedere.
Cosa è cambiato nella psichiatria brasiliana dal 91 ad oggi?
E’ cambiato qualcosa, ma soprattutto all’esterno del manicomio. Oggi in Argentina si può pensare ad altre forme di cura che non siano solo l’essere rinchiuso. L’ospedale psichiatrico è abbandonato dallo stato, ci sono persone che sono molto fragili, anche da un punto di vista sociale: non si può pensare alla salute mentale argentina se non si valuta anche il contesto di grande vulnerabilità e povertà.
Soprattutto, ciò che è cambiato per noi negli ultimi anni è che è stata approvata una legge sulla salute mentale che ha mutato il paradigma della cura. Oggi il la malattia non è intesa unicamente in termini intrapsichici, ma la salute mentale è definita come qualcosa che deve essere trattata in modo interdisciplinare. Per fare questo devono essere create istituzioni che aiutino le persone che affrontano la sofferenza. La risposta non deve essere soltanto l’internamento in un ospedale, o l’appartamento; ci devono essere spazi dove potersi “sostenere” e curare come cittadini con dei diritti. E La Colifata ha lottato tutti questi anni per ottenere questa situazione.
Come siete visti a Buenos Aires? Come la società argentina vede la Colifata?
La prima domanda da porsi è come la società vede le persone che soffrono di un disagio psichico. In ogni caso, La Colifata trasmette programmi interessanti e questo contribuisce ad abbattere il muro del pregiudizio.
Quello che dice La Colifata, lo si dice in modo molto personale, con il ritmo di chi parla. Anche chi ascolta contribuisce a costruire lo spazio collettivo della Coilifata, e i modi sono molto creativi. Faccio un esempio: 20 utenti della Colifata hanno fatto una vacanza nel sud dell’Argentina e sono stati alcuni ascoltatori ad organizzare la vacanza.
Ma non avvertite il pregiudizio, lo stigma nei confronti del malato mentale? Come vi comportate, che comunicazione fate a questo proposito?
Sappiamo benissimo che le persone hanno pregiudizi; si chiedono: cos’è questa? una radio di pazzi? E tu devi lavorare su questo, devi ascoltare questo pregiudizio, perché trasformarsi in un’altra cosa. Il problema dello stigma è complesso. Il discorso sociale dice: pazzo uguale pericoloso, quindi il pazzo va rinchiuso. Noi vogliamo costruire discorsi diversi, senza però contrapporre nostre affermazioni categoriche ad altre altrettanto categoriche. Il punto è: noi siamo pazzi rinchiusi? Si, ma tu perché ci ascolti? “Perché io ho un fratello malato” dice un ascoltatore, che ha della malattia l’idea che dicevamo. La Colifata deve allora lavorare con le idee che prevalgono nella società: non sta a noi affermare cosa sia giusto cosa no. La Colifata tratta proprio quei temi sociali che sono stigmatizzati; mettendole in contatto con il nostro progetto queste affermazioni incontrano i propri limiti. In questo incontro i pregiudizi, sia positivi che negativi, si trasformano, e le certezze diventano domande. La strategia di comunicazione della Colifata è mettere in crisi le certezze sociali sulla malattia mentale
Dal punto di vista del tuo mestiere di psicologo, come lavori con il disagio psichico?
Innanzitutto, dal mio punto di vista io non considero le persone con cui lavoro delle persone con disagio, anche se non nego che ci sono sofferenze anche molto dure.
Il mio lavoro è quello di riuscire a far ritrovare la propria energia a tutte le persone, e comunicare con la radio le loro potenzialità. Quindi la prima questione è che possiamo produrre uno spazio comunicativo forte se sappiamo connettere tra loro le energie di tutti, per produrre qualcosa di nuovo.
Non avete paura dell’aspetto un po’ voyeuristico con cui la società può ascoltare trasmissioni fatte da persone rinchiuse in un ospedale psichiatrico?
Io credo che la società dei consumi, così legata al mercato, molte volte trasforma esperienze di sofferenza in spettacolo; e dall’altro lato abbiamo gente che ama consumare questo tipo di spettacolo. Non possiamo considerare la nostra dimensione comunicativa se non teniamo in considerazione anche questo. Ma i nostri programmi sono il contrario, sono una costruzione collettiva che produce un sentimento di dignità, e fa sentirsi bene per il fatto di fare radio.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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