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“Tutto chiede salvezza”, la storia di un TSO, di persone, amicizia e amore

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Chiara Ghelfi, redattrice di Sogni&Bisogni

Il 14 ottobre è uscita su Netflix, “Tutto chiede salvezza”, serie italiana del regista Francesco Bruni che parla di disagio giovanile e tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, pubblicato da Mondadori e vincitore del premio Strega Giovani 2020. Ispirata a una vicenda autobiografica (un'esperienza di Trattamento sanitario obbligatorio vissuto da Mencarelli), “Tutto chiede salvezza” è una storia di amicizia, di incontro, di persone che si svelano tra di loro. Una grande storia d'amore. 

Foto recensione serie

Il libro
“Tutto chiede Salvezza” nasce dall'esperienza autobiografica di Daniele Mencarelli. Un giorno è a casa di coppia di persone anziane e sta per vendere loro un condizionatore, a un certo punto nella stanza entra il figlio 35enne che, in seguito a un incidente è rimasto in coma per un anno, e poi si è risvegliato come un bambino. Dopo aver assistito a quella scena, Mencarelli se ne va, si droga, beve e sfascia la casa dei genitori.
So’ andato a casa, i miei stavano a cena dai suoceri di mia sorella, ho tirato i tre grammi in due strisce, ma non riuscivo a fare niente, allora ho svuotato una bottiglia di whisky di mio padre – si legge nelle prime pagine del libro -. Finalmente la rabbia è uscita, ma non a sufficienza pe’ fa’ quello che volevo fa’. Ho distrutto tutta casa. Alle undici mio padre è tornato, appena m’ha visto è svenuto, un collasso nervoso pe’ fortuna, poi al pronto soccorso”.
A quel punto il protagonista del romanzo viene ricoverato per una settimana nel reparto psichiatrico di un ospedale, sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (Tso).

Il libro è il racconto, giorno per giorno, di quello che succede nel reparto, del rapporto coi medici, con gli infermieri e, soprattutto, con gli altri pazienti: “A parte la mia famiglia, che conosce, e subisce, nessun altro è al corrente della mia vera natura. I medici non fanno testo, ovviamente. In realtà, c’è anche qualcun altro. Me ne rendo conto solo ora. Sono i cinque pazzi con cui ho condiviso la stanza e questa settimana della mia vita. Con loro non ho avuto possibilità di mentire, di recitare la parte del perfetto, mi hanno accolto per quello che sono, per la mia natura così simile alla loro. Con loro ho parlato di malattia, di Dio e di morte, del tempo e della bellezza, senza dovermi sentire giudicato, analizzato. Come mai avevo fatto prima. Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”, scrive l'autore che racconta di non aver barato sulla descrizione dei suoi cinque compagni di stanza.

La serie
La serie di Netflix ripercorre le vicende del libro e rispetta la separazione in giorni
: sette episodi, uno per ogni giorno di Tso a cui Daniele (interpretato da Federico Cesari), un ventenne con fragilità e sensibilità complesse, viene sottoposto dopo una notte brava con gli amici e un crollo psicotico. Una settimana di isolamento dal resto del mondo durante la quale il protagonista si troverà ad affrontare i suoi demoni più nascosti e a scavare dentro di sé in un percorso di accettazione di sé e degli altri che lo porterà a stringere i legami più forti, sinceri e veri della sua vita.
Dal libro alla serie sono stati fatti alcuni cambiamenti, come ha raccontato in alcune interviste Mencarelli: la storia è stata portata al presente perché tante cose sono cambiate dal 1994 ed è stato inserito il tema della contenzione, vissuta realmente da Mencarelli ma di cui non si parla nel libro. Un particolare che mette in evidenza l'impotenza di Daniele quando si risveglia in quell'ambiente, in mezzo a persone sconosciute.
Daniele si trova scaraventato in un ambiente ostile che, in quei sette giorni, diventerà pian piano una sorta di ambiente familiare: il protagonista compie un percorso di consapevolezza che lo porta a cambiare idea sui suoi compagni, se all'inizio li considera persone da cui doversi proteggere, poi capirà che rappresentano persone simili in tutto e per tutto a lui. “I miei compagni di stanza sono la cosa più simile alla mia vera natura che mi sia mai capitata di incontrare”, dice.

Il culmine è nella scena più complicata della morte di Mario in cui Daniele, dopo aver assimilato tutta questa consapevolezza, deve affrontare un’altra frattura.
In un'intervista Federico Cesari ha parlato di Daniele come di un personaggio dotato di una profonda emotività, del fatto che per interpretarlo si è “svestito” di tutte quelle barriere che ci si crea per sopravvivere e non vedere le sofferenze a cui siamo esposti, della tendenza della società a chiedere di essere sempre produttivi, performanti, di non sbagliare mai, e di quella delle famiglie di non lasciare spazio ai giovani, di non ascoltare.
Daniele è un puro che non è riuscito a trovare risposte alle domande esistenziali che si pone, che non è riuscito a trovare supporto nell'ambiente sociale in cui è cresciuto, che non è riuscito a trovare dei modelli a cui guardare, degli strumenti per affrontare il disagio. Ed è finito in un reparto psichiatrico. Ma è in quel luogo di sofferenza che è il reparto psichiatrico che Daniele scopre se stesso e capisce che nessuno si salva da solo.
La salvezza è un aspetto che ritorna in tutta la serie e nel libro. Mencarelli in un’intervista ha detto di aver cercato per tanto tempo di trovare le parole migliori per raccontare quello che voleva dire e di aver capito che avrebbe dovuto procedere al contrario, togliere ogni giorno una parola, la meno necessaria, accorciare, potare, per arrivare a una sola parola. E quella parola è salvezza.
Il regista della serie e l’autore del libro hanno costruito il percorso di Daniele che culmina nella scena finale, la più bella, in cui il protagonista urla la parola salvezza.

Una riflessione sulla serie
Sono tanti gli argomenti che emergono da “Tutto chiede Salvezza” e tante le riflessioni. Il protagonista della serie ha 20 anni e una sensibilità complessa. Si pone continuamente domande sull'esistenza, non si accontenta di risposte banali, ma allo stesso tempo non ha gli strumenti per affrontare queste sue fragilità.
Dopo aver visto la serie io mi sono chiesta se era possibile evitare a Daniele il trauma di un Tso. Credo che questa domanda se la siano posti in tanti. Credo sia abbastanza frequente che ragazzi e ragazze vengano ricoverati, quando la risposta al loro disagio avrebbe potuto essere un'altra, quando si sarebbe potuti intervenire prima coinvolgendoli in progetti e percorsi diversi. A quel punto il ricovero avrebbe potuto arrivare ugualmente. O forse no.
Quando ci si trova in un momento di difficoltà e ci si rende conto di non riuscire a venirne fuori con le proprie energie spesso si ha paura di chiedere aiuto, si ha paura del giudizio degli altri, ci si trattiene al punto che tutto ciò che ci circonda diventa insopportabile e si perde il controllo.
La preoccupazione di quello che pensano gli altri vincola il nostro stesso modo di essere. Il pensare di essere diversi fa paura. Non corrispondere a uno standard preconfezionato dalla società non vuol dire essere sbagliati. Lo insegna Daniele in questa serie: a un certo punto bisogna fidarsi degli altri, chiedere aiuto. Anche lui all'inizio è arrabbiato con tutti, pensa di essere in un posto sbagliato, poi pian piano prende consapevolezza e inizia a fidarsi dei medici e dei suoi compagni.

Un'altra riflessione che arriva dalla visione di questa serie è che non esistono reparti psichiatrici dedicati ai più giovani. Ho sempre pensato che fosse una grande mancanza della nostra società: un giovane per il quale viene richiesto un Tso si ritrova privato di tante libertà, in un ambiente con persone di tutte le età. Ma vedendo la serie, mi sono resa conto che il rapporto tra Daniele, che ha vent'anni, e Mario (interpretato da Andrea Pennacchi) che è un uomo più vecchio, è un punto di svolta nel percorso, che la differenza di età e la diversità delle esperienze di vita può portare a visioni diverse del mondo. E anche diversi insegnamenti.
Andrea Pennacchi in un'intervista ha raccontato che il suo personaggio, Mario, è diventato un maestro per i ragazzi, una persona che è in grado insegnare qualcosa a chi è in quella stanza con lui, anche se non è sufficiente per salvare se stesso. E il rapporto con Daniele è sia quello del maestro e dell'allievo che quello di un padre con il figlio.

L'ultima riflessione riguarda la frequenza con cui persone che potrebbero essere aiutate in altro modo vengono invece dirottate verso la psichiatria. Un tema, quello dell'aumento degli accessi nei reparti psichiatrici e nei centri di salute mentale, di cui abbiamo parlato spesso su Sogni e Bisogni. Perché genitori, fratelli, sorelle, mogli, mariti, ma anche amici, non riescono a dare quel minimo di sostegno che a volte basterebbe? È vero che non tutti hanno gli strumenti per affrontare le situazioni, ma probabilmente è vero che, sempre più spesso, alle persone manca la capacità di ascoltare, di accogliere, manca l'empatia. La domanda allora è: quanto spesso atteggiamenti o caratteristiche caratteriali vengono identificati come patologici?
“Tutto chiede Salvezza” è un libro e una serie, ma prima di tutto è una storia fatta di persone. Credo che tutti dovrebbero guardarla (o leggerla) per aprire gli occhi su un mondo di cui si parla troppo poco ma che ci riguarda tutti.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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