di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni
C’è stato un periodo in cui non c’erano né una pandemia né una guerra, quando le materie prime per costruire strutture erano reperibili quotidianamente, e ogni giorno era possibile iniziare a edificare una casa comune. Villa Salus è un progetto di cohousing fra famiglie, è un corridoio umanitario per chi scappa dal proprio Paese, un piccolo studentato.
L’edificio, che conta appartamenti a mercato e sei dedicati a progetti sociali, è abitato da una cinquantina di persone che, attraverso un vicinato attivo, partecipano a una comunità attiva. Ha visto, vede e vedrà la presenza anche di utenti dei Centri di salute mentale.
In questa cornice esemplare di una progettualità efficace, si è tenuto uno dei tavoli della rassegna “…perché ci vuole città”, cioè quello in cui si è fatto il punto sulle cooperative, sulle loro difficoltà, sulla necessità di perfezionare i rapporti di rete con quanti sono impegnati nella lotta contro le fragilità.
L’impressione comune, la premessa dell’incontro, è che forse è necessario creare una nuova idea di impresa sociale, maggiormente basata sull’attenzione verso le esperienze altrui, soprattutto quelle più innovative, in un’ottica di collaborazione e reciprocità.
Come arrivarci? Sarebbe importante innanzitutto dare uno sguardo alla propria organizzazione e capire se al suo interno è diffuso fra tutti i lavoratori il benessere. Se il fenomeno di assoluta novità nell’ultimo anno è stato quello delle dimissioni in massa in qualsiasi ambito e per qualsiasi posizione della carriera bisogna porsi seriamente la domanda di quanto il lavoro, nelle sue metodologie, nei suoi obiettivi, nelle sue richieste debba essere analizzato e riformato profondamente.
Un esempio di benessere è quello di continuare a imparare nel tempo. Questo stimolo è stato individuato come il più importante per mantenere vive e sane le organizzazioni.
Ma l’impresa sociale non può comunque prescindere dal mercato, pena la propria sopravvivenza, e deve essere in grado di soddisfare i propri obiettivi. Ha preso così il sopravvento l’urgenza di sedersi in cerchio per esprimere, ciascuno dal proprio punto sulla salute mentale, quali sono le urgenze.
Ormai il paradigma necessario è quello della coprogettazione: un insieme di relazioni con le istituzioni pubbliche e private e la cittadinanza attiva e politica, in un contesto nel quale il fenomeno del lavoro in outsourcing sta prendendo, nel bene e nel male, sempre più piede.
L’Ausl di Bologna, nonostante abbia migliaia di dipendenti, non è comunque in grado di gestire autonomamente la complessità odierna, soprattutto con un deficit di circa 100 milioni di euro. Ma quanto possono essere garantiti i lavoratori esterni, in un sistema dove a parità di incarico il lavoratore dipendente ha un contratto diverso, e quindi un compenso maggiore e maggiore stabilità, rispetto al lavoratore delle cooperative, sia esso utente dei CSM o non utente?
Qua la prima contraddizione: le necessità di organico conciliate con il risparmio del lavoro esternalizzato producono disparità di trattamento, e la forbice rischia di allargarsi in modo preoccupante, soprattutto quando, come denunciato durante l’incontro, si indicono gare al ribasso.
È stato posto sotto la lente di ingrandimento lo strumento del Budget di Salute: se questo rappresenta una novità nel rapporto tra medico e paziente, con una progettualità di cura individualizzata, c’è chi fra le cooperative ha lamentato come nel Budget di Salute vengano valutati i processi e non i risultati. Per tacere dell’abitudine da parte di qualche cooperativa “poco virtuosa” di portare alle banche come garanzia per il credito il numero dei Budget di Salute in carico.
Ed è proprio alle banche (presente all’incontro EmilBanca) che è stato richiesto di entrare in modo attivo e propositivo in questa rete complessa. La proposta da parte di EmilBanca è stata quella di allargare la partecipazione a questa possibile rete di dialogo anche a quelle imprese con obiettivi sociali che hanno una natura giuridica diversa da quella cooperativa. Le grandi aziende del territorio, ha proseguito il rappresentante di Emilbanca, hanno bisogno di manodopera e potrebbero trovarla nei lavoratori, anche disabili, delle cooperative. Purché, ha precisato il mondo cooperativo, non si tratti di evitare la contrattualizzazione del lavoratore “in prestito” proponendo alla cooperativa un budget che sposta ogni onere, organizzativo e amministrativo, alla cooperativa che offre l’outsourcing all’azienda.
Bisogna in realtà trovare soluzioni comuni per rispondere alle contraddizioni dell’inclusione lavorativa: si elimini la legge 68/99 per l’inclusione dei lavoratori dei disabili nelle aziende, si è detto provocatoriamente, visto che queste preferiscono pagare le sanzioni per la mancata ottemperanza alla legge piuttosto che farsi carico di un lavoratore con fragilità mentali. O meglio si obblighino le aziende a una formazione per la cultura dell’inclusione del lavoratore disabile, o altrimenti i proventi delle sanzioni alle aziende che non seguono i dettami della legge vadano a finanziare attività con finalità pubbliche rivolte alla disabilità.
Per quanto riguarda le soluzioni da parte del pubblico ciò che erano le borse lavoro e che ora sono i tirocini formativi o inclusivi sono stati considerati totalmente inadeguati, sia per quanto riguarda la retribuzione sia per l’effettiva evoluzione dell’utente che ne privilegia.
Le ultime considerazioni hanno riguardato le difficoltà delle cooperative che, seppure rappresentino un ambiente accogliente e inclusivo difficile da trovare altrove, soffrono della dispersione delle risorse umane e del tempo assorbito da procedure burocratiche a volte complesse, come le partecipazioni ai bandi.
Infine il mondo dei familiari si è espresso attraverso la voce delle associazioni, che hanno lamentato la sistematica difficoltà di inserire i propri cari portatori di disturbi nel mondo del lavoro, e, per conoscenza, delle cooperative stesse, con il campanello d’allarme del fenomeno delle famiglie che prendono contatto diretto con loro senza prima passare dall’Ausl. A queste cooperative tocca consapevolizzare le famiglie e creare in loro fiducia sul ruolo di cura di cui l’Ausl si fa carico.
Un tavolo complesso, che ha fornito con franchezza il ritratto di un mondo sfilacciato, dove ciascuno interviene secondo i propri interessi a volte anche perdendosi i progressi e i casi interessanti altrui. È insomma necessario quel paradigma, di cui si parlava sopra, che possa mettere in rete tutte le parti in causa, includendo anche quelle alle quali, come le banche, ci si era rivolti solo per il ruolo creditizio che svolgono. Bisogna, insomma, pretendere di più da quel Bilancio Sociale di cui si sono dotate tutte le aziende for profit del privato e che bisogna sapere esigere e portare nella comunità.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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