di Daniele Collina, redattore di Sogni&Bisogni
Crescere ed educare un figlio è sempre un compito molto impegnativo ma quando il bambino fin da piccolo mostra segni di una qualche disabilità può diventare un’autentica sfida. Nel libro “L’autistico di Schrödinger” (edizioni Aliberti, 2019) Simonetta Chiandetti racconta la sua avventura e quella del figlio nel mondo della disabilità.
La storia di Simonetta inizia in modo diverso dal solito. Nel libro racconta di non aver mai sognato di sposarsi e avere dei figli, le è semplicemente capitato, salvo poi innamorarsi perdutamente alla prima ecografia di quell'“ovetto” che portava in grembo. Non fu una gravidanza facile ma dopo molto penare, non solo per cause naturali, il bimbo nacque nel maggio del 2000.
Fin dai primi mesi di vita i genitori si accorsero che qualcosa non andava: utilizzo strano dei giocattoli, gesti insoliti, aggressività e, cosa molto importante, il piccolo a 13 mesi pur camminando non parlava ancora. A questo punto il sospetto di una qualche malattia sorse e Simonetta pensò subito all’autismo.
Questa parte del libro è abbastanza sconcertante. Risulta incredibile che, negli anni 2000, per avere una diagnosi, ovviamente non voluta ma necessaria per avviare un corretto percorso di riabilitazione, Simonetta abbia dovuto passare da vari servizi di neuropsichiatria che le hanno proposto spesso esami e consulti inutili, previsioni di grave ritardo mentale o, al contrario, esortazioni ad aspettare che il bambino iniziasse a parlare perché poi tutto si sarebbe risolto come per magia.
Alla fine B. (Simonetta vuole mantenere il massimo riserbo su suo figlio) cominciò a parlare a 3 anni e mezzo ma i comportamenti bizzarri non cessarono. L’inserimento in asilo andò abbastanza bene grazie a due maestre che capirono come trattare il bimbo “speciale”, pur in mancanza della famosa diagnosi e quindi degli aiuti annessi. Quest’ultima arrivò, anzi ne arrivarono due, a 5 anni e mezzo quando prima un neuropsichiatra disse che si trattava di Sindrome di Asperger (una forma meno grave di autismo) e poi quella di autismo ad alto funzionamento da parte di un'equipe specializzata. In ogni caso finalmente la diagnosi funzionale era arrivata.
Questa parte della storia ci mostra come sia stato difficile trovare una struttura riabilitativa in grado di aiutare concretamente il bambino. Simonetta racconta che la suddetta struttura fu molto più utile da un punto di vista burocratico per avviare le pratiche necessarie ad avere gli insegnanti di sostegno durante il percorso scolastico. Non mancarono nemmeno presunti gruppi o comitati di genitori alla ricerca di cure miracolose o di fattori da accusare come, ad esempio, i vaccini che incredibilmente ancora oggi vengono ritenuti, da molti e contro ogni evidenza scientifica, responsabili dell’autismo. Simonetta ebbe la forza, ma anche l’intelligenza, di non farsi irretire da queste teorie complottiste che avrebbero potuto portare a conseguenze disastrose per il figlio. Ebbe in ciò anche l’aiuto di genitori esperti dell'associazione Angsa che le indicarono gli strumenti corretti da utilizzare.
Le scuole elementari furono molto complicate, B. non aveva e non ha, secondo Simonetta, un metodo di studio e si è sempre basato sulla memoria. In questo periodo si sono alternate maestre di sostegno ed educatori a volte con poca esperienza ma capaci di sopperire con l'empatia e l’impegno. Quello che più colpisce è che spesso maestre esperte e che dovrebbero conoscere il problema e sapere trattare con bambini si sono rivelate le più incapaci. Addirittura si è arrivati al caso limite di una maestra che all'assemblea di classe ha dato la colpa del ritardo negli insegnamenti alla presenza in classe del figlio di Simonetta, influenzando così negativamente anche gli altri genitori. La riflessione da fare a proposito è che occorre creare a livello scolastico una cultura rivolta all'aiuto dei disabili che hanno tutto il diritto a ricevere una educazione completa senza essere coinvolti in episodi di discriminazione e pregiudizi.
A questo punto occorre dire che la stessa Simonetta ha sofferto di gravi problemi di salute e, anche nel suo caso, la diagnosi è arrivata dopo anni di esami infruttuosi e accuse velate di “non avere niente”. La sua malattia si rivelò essere mastocitosi sistemica, una rarissima forma oncoematologica. Non mancarono inoltre problemi sul lavoro causati dal diritto di avere giorni di permesso extra per occuparsi del figlio disabile, malvisti sia dalla dirigenza che dal resto dei dipendenti. Il mondo del lavoro ha ancora grandi margini di miglioramento nel trattare persone come Simonetta che non chiedono un trattamento di favore ma soltanto di essere aiutate nel loro difficile compito di caregiver.
La svolta furono le scuole medie, anche se partendo da un presupposto un po' triste. Decisero infatti di continuare a usufruire dell'insegnante di sostegno ma mantenendo il riserbo sulla certificazione di disabilità, dicendo agli altri alunni e ai genitori che il sostegno era rivolto all'intera classe. B. da allora volle che nessuno sapesse della sua condizione e questo si può reputare una sconfitta per l'intero sistema sociale che magari accetta i comportamenti un po' strani ma non le disabilità conclamate. La vera ancora di salvezza del figlio di Simonetta è stata non avere una forma di autismo con ritardo mentale e questo ha permesso di studiare i comportamenti da tenere in tutte le situazioni possibili anche extrascolastiche. Ovviamente anche alle medie ci furono insegnanti comprensivi e altri incapaci di adeguarsi a questo alunno speciale. Da notare in questa fase della vita di B. anche la sparizione delle stereotipie gestuali, sostituite dall'utilizzo dello smartphone che è ancora oggi uno dei suoi maggiori interessi. A volte la tecnologia può aiutare, anche se in modi bizzarri.
Molto bella è l’esperienza avuta da B. come sindaco junior, eletto dagli alunni di scuole elementari e medie nel comune di residenza di Simonetta. Con questa carica vi furono anche diverse occasioni ufficiali di parlare in pubblico, superate brillantemente anche senza l'aiuto dei genitori e dei tutor. Per Simonetta fu come vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi.
Per le superiori la scelta, lunga e ponderata, fu il liceo classico nonostante il preside pretendesse che la sua scuola fosse riservata a forgiare la élite dirigenziale di domani e quindi non adatta a “persone svantaggiate in partenza”. Si ritorna a una concezione dell'insegnamento che non accetta il diverso, inaccettabile ancora una volta negli anni 2000 dove la società dovrebbe essere inclusiva.
“In terza superiore il giovinastro si è ammalato di adolescenza”, scrive Simonetta nel libro. La conseguenza furono una serie di comportamenti tipici dell'età quali ostinazione, pigrizia e maggiori problemi nel gestire gli studi.
Il percorso del figlio di Simonetta è stato lungo e ha portato a risultati sorprendenti passando da un bambino difficile da gestire a un ragazzo che pensa di essere guarito e che quando gli si viene fatto notare che non c'è cura per l'autismo ribatte candidamente che lui è il primo. Persino alcuni psicologi hanno fatto fatica a riconoscere la sua disabilità al punto che Simonetta ha pensato che, come dice il titolo del libro, il figlio sia come il gatto della teoria di Schrödinger, che chiuso all'interno della scatola può essere sia vivo che morto, finché non viene aperta la scatola: B. nella sua testa può essere sia autistico che non autistico allo stesso tempo.
Il libro è stato scritto nel 2018 quando B. stava frequentando la quarta liceo classico e diventava maggiorenne. Noi di Sogni&Bisogni abbiamo contattato Simonetta che ci ha dato qualche aggiornamento sul figlio da allora a oggi.
B. è uscito dalla maturità con un voto discreto, nonostante lo scarso impegno dimostrato durante le superiori. “Purtroppo, durante questo percorso scolastico non si è fatto molti amici – racconta Simonetta - e non andava d'accordo con le compagne di classe". Ma Simonetta ritiene comunque che la formazione ricevuta gli sarà utile in futuro.
Nel settembre 2019 B. ha iniziato l’università con la triennale di diritto e i primi mesi sono andati bene, in linea con gli esami. Poi il mondo è stato travolto dalla pandemia e i piani sono cambiati. Il secondo semestre si è svolto a distanza e non è stato attrattivo per B. che ha bisogno di essere coinvolto, interagire con gli altri. “Stare davanti al monitor ha fatto scemare la sua passione fino all'abbandono totale”.
Il periodo di lockdown è stato molto duro per un ragazzo di 20 anni ma nel complesso B. ha retto. Simonetta ha potuto continuare il suo lavoro in ospedale, dove si occupa di sicurezza sul lavoro e gestione del rischio in sanità, e ha cercato di essere, di nuovo, salda e determinata. Ha lottato per proteggere e curare con tutte le sue forze quel figlio fragile e preziosissimo. Appena è stato possibile Simonetta ha fatto fatto vaccinare tutta la famiglia. Si è sentita come se avesse ultimato una missione militare.
Dopo avere lasciato l’università B. ha fatto il garzone in una ferramenta, poi ha trovato il lavoro a cui aspirava, vista la mania per le auto, in una concessionaria. Simonetta poi è riuscita a iscriverlo a un concorso pubblico per un posto a tempo indeterminato che, pur trascinato a forza, è riuscito a passare. “Oggi – racconta - quel cucciolo bizzarro e impegnativo è un uomo con la barba e lavora un piano sotto al mio, in quello stesso ospedale in cui 20 anni fa lo avevano dato per spacciato per sempre”.
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Simonetta chiude con la seguente frase: “C'è un proverbio giapponese che noi portiamo sulla nostra pelle scarnificata anche senza averlo tatuato, 'cadere sette volte, alzarsi otto'”.
La storia del figlio di Simonetta ha avuto, per quanto possibile, il lieto fine. Ma c’è voluto tutto l’impegno dei genitori, degli insegnanti scolastici (quelli bravi) e delle associazioni. Non sempre i servizi sono stati di aiuto tra diagnosi sbagliate e previsioni catastrofiche. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che tutti i casi di autismo si possano risolvere così brillantemente, nella stragrande maggioranza i problemi gravi restano anche crescendo ed è proprio qui che la società deve fare la sua parte per diventare veramente inclusiva verso queste persone svantaggiate.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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