di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni
Ritornare a distanza di qualche mese nella nuova sede di Progetto Itaca Bologna, un bell’appartamento al piano terra di un palazzo nobiliare in via Nazario Sauro 30, ha suscitato l’emozione che si prova nel vedere un luogo prima spoglio ora diventato ricco di arredamenti, di tecnologie, di persone.
L’incontro è con Martina Chierichini e Camilla Debernardi, che lavorano rispettivamente per i progetti Club Itaca e Job Stations. L’appuntamento nasce proprio per approfondire quest’ultima idea avviata dalla Fondazione Progetto Itaca di Milano insieme alla Fondazione Italiana Accenture. La prima cosa che Martina e Camilla desiderano farmi vedere è la trasformazione del salone in job stations: una serie di postazioni collegate alla rete disposte in modo da consentire a Camilla, tutor del progetto, di muoversi agevolmente di tavolo in tavolo per aiutare chi lavora a svolgere il suo compito nel migliore dei modi.
Job Stations è infatti un progetto che ha come obiettivo la creazione di posti di lavoro per persone con storie di disagio psichico. “Una figura di aiuto, di supporto, di tranquillità”, la definisce Camilla. I suoi compiti: “Favorire la mediazione fra lavoratore disabile e azienda, affiancando entrambi per tutto il periodo del contratto lavorativo”. Il tutor insomma affronta le difficoltà lavorative che una persona fragile può incontrare nello svolgimento della sua mansione. E, attraverso il rapporto con il supervisore dell’azienda che stipula il contratto di lavoro, Camilla porta la cultura dell’inclusione, della comprensione del disagio, della consapevolezza delle differenze e della qualità, dei talenti che ciascuno è in grado di esprimere.
Una trasformazione enorme, che contrasta con le strutture ancora rigide di molte organizzazioni (tempi di lavoro e aspettative dirigenziali, per fare due esempi) e con alcune interpretazioni della leadership frutto di un autoritarismo non sempre efficace. Camilla è una psicologa professionista e con la sua presenza costante nella job stations di Itaca si fa garante di un clima sereno che si trova raramente negli open space delle aziende.
“Il progetto Job Stations, nato a Milano nel 2012, ha lo scopo di fare capire alle aziende cosa voglia veramente dire avere un disagio psichico”, spiega Camilla, sottolineando come al disturbo psichiatrico sia sempre associata la totale incapacità. Può capitare, e capita spesso, che il disturbo sia nascosto nei dettagli di un carattere, di una personalità, rendendosi invisibile. Perciò, ai fini delle capacità, si rivela ininfluente. “D’altra parte dal momento in cui inserisci una persona che ha disabilità non puoi trattarla come se questa non ci fosse”, precisa Camilla. Ne va della tenuta della soglia dello stress da parte della persona fragile. “Se non esiste la giusta attenzione da parte dell’azienda nei confronti del lavoratore con disturbi qualcosa certamente non funzionerà”.
I numeri di questo progetto di mediazione fra associazionismo e aziende per offrire lavoro (e serenità mentale ed economica alle persone con disturbi mentali) sono eccellenti: dal suo avvio ben 22 aziende sul territorio nazionale hanno offerto un lavoro a 103 persone, più dell’80% dei tirocini sono divenuti contratti a tempo indeterminato, su 7 città coinvolte per un totale di 9 postazioni Job Stations. Niente mansioni inventate ad hoc per “il disabile” ma inserimenti in posizioni aperte già esistenti o, nel migliore dei casi, trasformazione dell’organizzazione aziendale attraverso la creazione di nuovi profili utili. Detta con malizia, nessun alibi per aggirare l’ostacolo dell’obbligo a ottemperare la legge 68/99 che impone alle aziende con più di 15 dipendenti di assumere almeno un lavoratore con disabilità, dai 36 ai 50 due disabili e oltre i 50 una quota corrispondente al 7% del totale dei dipendenti. Altrimenti scatta una sanzione che da quest’anno è aumentata a circa 56.000 euro; sempre troppo poco, visto che molte aziende dai fatturati evidentemente prosperi preferiscono pagarla piuttosto che dovere assumere un disabile.
“Le selezioni in Itaca avvengono grazie alla conoscenza diretta delle capacità degli utenti che partecipano alle attività del nostro Club”, racconta Martina, una laurea in filosofia, una specializzazione come educatrice, una lunga esperienza nella cooperazione internazionale. “Inoltre molti utenti vengono segnalati dai CSM, altrimenti dalle associazioni, dalle cooperative sociali e dal centro per l’impiego”. Martina è stata la prima in Itaca Bologna a occuparsi del progetto Job Stations. “In gennaio abbiamo iniziato a presentare il progetto ad alcune aziende anche solo per sondare l’interesse. E devo dire che tutte hanno mostrato curiosità per questa iniziativa così nuova per loro. Alcune sono al lavoro per capire se è un progetto applicabile, come organizzarlo insieme a noi e con quali tempistiche”. Parallelamente l’associazione bolognese ha iniziato i colloqui con gli utenti segnalati e organizzato un laboratorio di orientamento al lavoro per trasformare le negatività in lati positivi e capire come ci si immagina all’interno del lavoro. “L’obiettivo del progetto è di formare e inserire nell’arco di un anno e mezzo almeno 5-6 persone. Intanto abbiamo raccolto la collaborazione di due importanti aziende del territorio che hanno fornito a titolo gratuito e volontario un reclutatore e una dirigente delle risorse umane per insegnare agli utenti selezionati come sostenere un colloquio di lavoro nel migliore dei modi”.
“Ciò che più mi ha colpito è stato vedere come in poco tempo in uno spazio in cui non si fa assistenza, in cui non si fa terapia, non si fa psicoeducazione, le persone selezionate siano state in grado di compiere quel gesto, di svolgere quella azione che prima li bloccava”. La soddisfazione di Camilla riguarda l’ostacolo più grande presente in una persona con disturbi: quel misterioso impedimento a vivere completamente la vita. E la conferma più bella è stata quella di incrociare per caso a Itaca A., finalmente sorridente e loquace come non la avevo vista mai prima. Qualcosa in via Nazario Sauro sta accadendo.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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