di Barbara Cicchetti, educatrice di ASSCOOP e mediatore del Gruppo Feuerstein
Il mercoledì pomeriggio al Centro Tasso di Bologna si svolge un’attività di piccolo gruppo che si chiama Feuerstein, il nome dell’attività deriva dal metodo che si utilizza. Tale metodo è stato ideato dallo psicopedagogista israeliano, nato in Romania, Reuven Feuerstein, che lo ha elaborato per sviluppare l’intelligenza di bambini con problemi di apprendimento, con disabilità intellettiva oppure con sindrome di Down.
Il metodo è oggi applicato a studenti e a persone adulte, ad esempio lavoratori che devono aggiornarsi alle nuove tecnologie, disoccupati ed emarginati, che vogliono potenziare le proprie capacità cognitive. Il gruppo del Tasso, centro gestito dalla Cooperativa Sociale ASSCOOP, è composto da quattro partecipanti, utenti adulti inviati dal Centro di salute mentale. I partecipanti sono arrivati alla scelta di fare questo percorso, come passaggio evolutivo dal gruppo delle Abilità sociali, attività che si svolge sempre al Tasso. L’attività del gruppo Feuerstein è iniziata un anno fa, e proseguirà fino al completamento del metodo.
La teoria dietro l’apprendimento mediato è quella della modificabilità cognitiva strutturale, come l’abilità di modificare il proprio funzionamento cognitivo e di adattamento ai cambiamenti della vita. Infatti, secondo Feuerstein, l’intelligenza non è un tratto ereditato geneticamente e perciò immutabile; è invece uno stato, risultato di diverse componenti, di cui quella genetica non è la sola, né la più importante. L’intelligenza, dice lo psicopedagogista, “è la propensione dell’organismo a modificarsi nella sua struttura cognitiva, in risposta al bisogno di adattarsi a nuovi stimoli, di origine interna o esterna che siano”.
L’attività prevede una parte applicativa del metodo Pas (Programma di arricchimento strumentale), attraverso lo svolgimento di particolari esercizi guidati da un mediatore (Educatore professionale). Siamo partiti dal primo livello del metodo e come obiettivi ci siamo posti quelli di: controllare l’impulsività, quando si deve rispondere a una domanda o risolvere un problema; riflettere prima di compiere qualunque azione; chiedersi qual è il problema e come è stato risolto (strategie); il perché si è verificato o meno un errore.
Ecco cosa hanno risposto i partecipanti al gruppo alla domanda: “Cosa significa per voi applicare il metodo Feuerstein?”:
“È un esercizio che fa bene alla mente”, dice Max; “Mi aiuta nel tenere allenate le mie capacità intellettive, nell’esercitare il pensiero ipotetico e l’immaginazione”, dice Lorena. E ancora: “Il metodo è una palestra che ci aiuta ad allenarci per poi affrontare la vita di tutti i giorni; infatti, i modelli sperimentati durante l’attività li possiamo riprodurre nella quotidianità. Se ci troviamo in situazioni emotivamente intense, pensiamo a quali strategie possiamo introdurre, quindi dobbiamo mettere da parte l’impulsività e pensare. Il gruppo rappresenta una risorsa importante di collaborazione e aiuto reciproco veicolato dalla figura del mediatore, non c’è competizione fra di noi, dobbiamo rispettare i tempi di tutti... anche l’errore acquista un significato diverso da come la società lo vive, rappresenta un aiuto per mandare avanti il lavoro, non crea danni”. “Durante lo svolgimento delle schede ci sentiamo appagati, soddisfatti, poiché è un lavoro che migliora l’autostima”.
La parte finale di ogni incontro, chiamata bridging, prevede un momento di confronto in cui i partecipanti provano a capire come applicare ciò che hanno sperimentato nel gruppo nella vita di tutti i giorni.
Come mediatore dell’attività posso confermare come il metodo sia stato d’aiuto al gruppo nell’apprendere e nel rafforzare competenze cognitive poco utilizzate nella quotidianità. Gli stessi partecipanti si stupiscono quando riescono a svolgere compiti, come prendere l’autobus, andare a fare la spesa o riordinare casa, attività che a una prima osservazione per loro sembravano impossibili. Il Feuerstein mette in una posizione di continua sfida con sé stessi e stimola la curiosità di sapere quale sarà la scheda successiva da svolgere.
Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi
...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...
Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo Pini, di Milano.
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