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Prendersi cura delle piante per prendersi cura di sé. L'esperienza di Agriverde

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Chiara Ghelfi e Rocco De Luca, redattori di Sogni&Bisogni

La redazione di Sogni&Bisogni ha visitato la sede di Agriverde a San Lazzaro di Savena (Bologna). Ad accoglierci Raphael Decerf, coordinatore del gruppo riabilitativo e vicepresidente, che lavora da 20 anni nella cooperativa.

Articolo Agriverde

La sede di via Salarolo è stata acquistata nel 2010: sono presenti uffici, una sala riunione, la mensa, gli spogliatoi e il capannone per la parte produttiva da cui partono i giardinieri che vanno sui cantieri esterni. Il capannone è stato comprato e ristrutturato, mentre la palazzina con gli uffici è stata costruita dalla cooperativa all’80% in quanto tra i giardinieri alcuni hanno esperienza come capomastro e muratori. “Questo ha permesso non solo di avere un risparmio sui costi ma soprattutto di accrescere il sentimento di appartenenza a un gruppo”, spiega Raphael Decerf.

La storia

Agriverde nasce nel 1986 per volontà dei Servizi sociali e psichiatrici – ex Usl 22 di Bologna, ai tempi era responsabile Michele Filippi, durante il movimento di chiusura dei manicomi e degli ospedali psichiatrici. “Filippi stava cercando nel territorio di San Lazzaro un contesto dove potessero essere inserite le persone con disabilità psichiche all’interno del tessuto sociale, pensando che l’aspetto lavorativo fosse una componente che interessava tutti dai 18 ai 65 anni. Il ruolo attivo all'interno della società permetteva infatti di dare attuazione all'articolo 4 della Costituzione, che riconosce il diritto al lavoro”, spiega Raphael.

Si trattava di capire quale tipo di contesto lavorativo avrebbe permesso l’inserimento di queste persone. E si è puntato su una cooperativa sociale agricola. “Anche perché l’Ausl possedeva delle aree verdi parchi e poteva affidarne la cura alla cooperativa, impiegando persone svantaggiate – continua Raphael – Lo stesso Comune di San Lazzaro si era reso disponibile ad affidare la cura dei parchi pubblici alla cooperativa”.

Grazie alla collaborazione tra i vari servizi si costituisce la cooperativa Agriverde che, pur lavorando a stretto contatto con i servizi, non impiega personale dell'Azienda Usl. Agriverde è fin da subito autonoma e indipendente dai Servizi pubblici: “Questo permette una maggiore autonomia nelle scelte economiche e organizzative”, precisa Raphael. La cooperativa, organizza un corso di giardinaggio per i pazienti del servizio di salute mentale e una formazione rivolta ai giardinieri per imparare a relazionarsi con persone che hanno problemi di salute mentale, a cui non sono abituati.

Nata come cooperativa agricola, nel 1994 Agriverde diventa cooperativa sociale di tipo B e, a partire dal 1998, si iscrive all'albo delle cooperative sociale di tipo B+A perché oltre a fare inserimento lavorativo è anche riabilitativa. “Un gruppo di persone si occupa della parte produttiva, della manutenzione del verde e, grazie agli appalti con diversi comuni e con l’Ausl, si occupa della cura di parchi pubblici, di parchi storici come Villa Ghigi a Bologna e di giardini privati”, spiega Raphael che racconta come, negli ultimi anni, siano state sviluppate anche le competenze anche per il tree climbing, cioè la potatura e l'abbattitura di alberi ad alto fusto.

Più del 30% delle persone che lavorano con Agriverde rientra nella legge 381/1991 che disciplina l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate nelle cooperative sociali. Si tratta di persone con prolemi di salute mentale, tossicodipendenze, persone con invalidità superiore al 46%, rifugiati, detenuti in semilibertà. Inoltre, ci sono persone in condizioni di fragilità e vulnerabilità temporanea inserite tramite tirocinio di orientamento, formazione, inserimento o reinserimento grazie alla legge regionale 14/2015.

Dopo aver avviato le prime attività produttive, negli anni '90 la cooperativa si rende conto che non tutte le attività sono idonee al miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti. Da qui la scelta di affiancare ai percorsi di inserimento lavorativo anche quelli riabilitativi, in cui il lavoro è uno strumento per raggiungere gli obiettivi di riabilitazione concordati con l'équipe di riferimento. “Abbiamo capito che, a volte, non riuscire a essere produttivi creava frustrazione – spiega Raphael - A quel punto abbiamo deciso di creare un secondo gruppo di persone che avevano bisogno di svolgere un'attività per raggiungere un certo livello di benessere, ma non avevano come obiettivo la produttività”. Questi percorsi sono rivolti a utenti del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Ppatologiche di Bologna e degli uffici disabili adulti dei distretti di San Lazzaro, Bologna e Pianura Est.

Il lavoro

Negli anni il lavoro è cambiato molto e sono cambiati gli obiettivi in base alle diverse tipologie di persone che sono state inserite. “Nei primi anni '90, gli utenti arrivavano, in gran parte, dagli ex manicomi e l'obiettivo era quello di ritrovare un equilibrio con la vita esterna – racconta Raphael – Oggi abbiamo persone molto giovani, sui 20-23 anni, persone che hanno avuto momenti di crisi e che aiutiamo a costruire un nuovo ruolo all'interno di un'attività lavorativa che può crescere nel tempo”. Ci sono anche persone tra i 40 e i 50 anni che stanno cercando di ritrovare un equilibrio all'interno di un contesto protetto o che hanno bisogno di un momento di transizione verso altri contesti lavorativi.

La sede operativa di Agriverde nel Parco San Camillo è il luogo in cui le persone imparano a prendersi cura di un luogo, in cui cominciano a seminare i prodotti ortofrutticoli che poi dovranno curare, raccogliere e vendere. La stagione viene programmata insieme tra i colleghi dell'orto, del vivaio e della bottega: a inizio anno, tra gennaio e febbraio, si prepara il semenzaio, un lavoro che proietta la persona in un futuro prossimo perché nel giro di un paio di settimane i semi iniziano a germogliare e bisogna curarli e innaffiarli. Da quel momento, si inizierà a interloquire con gli ortolani che devono lavorare la terra e preparare le serre.

Per le persone che non sanno cosa fare della loro giornata, che sono prese dai loro pensieri, dalle voci, che hanno paura di confrontarsi con i colleghi, il domani può essere terrificante – dice Raphael – e con queste piccole azioni noi le sosteniamo, le prepariamo al domani. Perché se oggi ho seminato, domani dovrò alzami per prendermi cura di ciò che ho seminato”. Prendersi cura delle piante insegna alle persone a prendersi cura di sé e, indirettamente, a lavorare sulla proiezione del proprio futuro.

L'attività agricola diventa quindi estremamente interessante nel miglioramento della propria condizione di vita - aggiunge Raphael – e poi c'è un altro aspetto fondamentale: la relazione con gli altri, per costruire qualcosa insieme”. L'obiettivo di Agriverde è aiutare le persone a ritrovare un equilibrio psicofisico accettabile per poter iniziare un percorso di formazione e poi trovare un lavoro. “Con l'esperienza si riesce a capire quando una persona è pronta a fare il passo successivo, a lavorare all'esterno – dice Raphael – ed è importante far capire loro che se ci fosse una difficoltà si può tornare indietro, c'è un paracadute. Grazie al lavoro di rete con altre cooperative, negli ultimi tre anni abbiamo creato 7 assunzioni”.

Secondo Raphael, il budget di salute ha migliorato la comunicazione tra servizi, operatori e utenti. “C'è una definizione precisa dell'obiettivo della persone e una maggiore consapevolezza di ciò che le serve per stare meglio – spiega – Non sto dicendo che i risultati ci sono solo perché c'è il budget di salute, ma questo strumento ha aiutato a ragionare in modo diverso, a consentire anche di fare percorsi più brevi di 6 mesi, 1 o 2 anni. Ci sono persone che rimarranno a lungo in Agriverde perché è il contesto in cui riescono a dare il meglio di sé, ma quando saranno pronte si potranno trovare percorsi diversi. Per altre, noi siamo un momento di transizione che le aiuta a rafforzare certi aspetti e trovare la propria strada, in altre realtà”.

Agricoltori, oltre che educatori

Oggi Agriverde ha 54 dipendenti, 37 giardinieri (di cui almeno il 30% sono persone svantaggiate), 5 amministrativi, 13 operatori per la riabilitazione. “Abbiamo tutti una doppia formazione, educatori sociali o sanitari con competenze di giardinaggio, agronomi che si formano sulla salute mentale, sui budget di salute, sulla disabilità con un supervisore che coordina il lavoro”, dice Raphael.

Quando la cooperativa è nata, Michele Filippi voleva che al suo interno lavorassero giardinieri, non educatori, “per una questione di identità. Chi veniva a lavorare qui non si trovava in un Centro di salute mentale o un centro diurno ma in un luogo di lavoro”, spiega Raphael che, come tutti i suoi colleghi, ha un contratto agricolo e non quello delle cooperative sociali. Una scelta di credibilità visto che sono responsabili di una cooperativa che si occupa di cura e manutenzione del verde.

Il settore agricolo prevede un contratto stagionale a tempo determinato che si può rinnovare in automatico ogni anno. È previsto un certo numero di giornate all'anno che il datore di lavoro e il lavoratore sono obbligati a fare, poi c'è la possibilità di farne di più se l'azienda ha bisogno e il lavoratore è disponibile. “Questo tipo di contratto più flessibile ci ha agevolato nell'inserimento lavorativo – spiega Raphael – perché le persone che hanno problemi di salute mentale spesso hanno il problema di non essere costanti, di non riuscire a essere presenti tutti i giorni o di arrivare in orario

Le difficoltà durante la pandemia

Il settore agricolo è stato uno dei pochi che non ha mai chiuso durante il lockdown, ad Agriverde si sono fermati per circa 15 giorni, ma poi hanno ripreso il lavoro, con tutte le difficoltà del momento e adottando le misure di sicurezza richieste. I tirocini formativi e il centro socio-occupazionale, invece, sono stati chiusi, anche se tutti hanno cercato di mantenere viva la relazione con i tirocinanti, per farli sentire comunque seguiti. “Con i colleghi ci siamo chiesti se lavorare la terra o aspettare, se andare a comprare le piantine o lasciare il campo a se stesso – racconta Raphael – Per mantenere la continuità educativa abbiamo deciso di andare a lavorare tutti i giorni, ma cambiando l'assetto organizzativo”.

Da coordinatore del servizio educativo, Raphael è diventato così un “imprenditore” agricolo, individuando insieme ai colleghi e a chi lavorava da casa, che cosa produrre ogni giorno. “Ogni giorno andavo sul campo, fotografavo le fioriture o facevo dei video e li inviavo ai tirocinanti, cercando di coinvolgerli – continua – Chiedevo loro “cosa piantiamo in questa stagione? Che cosa raccogliamo?' Così abbiamo creato un circuito virtuoso in cui loro erano presenti nell'attività, anche se a distanza, e abbiamo mantenuto un legame forte con tutti”. Dal punto di vista produttivo, è stato un periodo molto proficuo perché in tanti hanno contattato Agriverde per le consegne a domicilio dei prodotti ortofrutticoli.

La gestione dell'emergenza sanitaria, tra tamponi, test sierologici e vaccini, è stata coordinata dal distretto di San Lazzaro che informava costantemente le cooperative e i centri diurni del territorio sulle normative e i protocolli da cambiare. “Ci siamo sentiti seguiti e sostenuti e credo che sia stato lo stesso anche per i nostri tirocinanti – dice Raphael – La collaborazione tra i vari servizi ha rafforzato l'idea che è fondamentale lavorare insieme”.

Il rientro in presenza è stato bellissimo, sono stati tutti contenti di ritrovarsi – spiega Raphael – Questo lockdown ci ha fatto crescere come gruppo, ci ha fatto capire che abbiamo bisogno uno dell'altro e che questo contesto è utile per creare un sentimento di appartenenza”. Per chi non ha potuto partecipare attivamente anche a distanza, Agriverde sta riattivando i momenti di socializzazione, per ricominciare a relazionarsi con gli altri dopo il periodo dell'isolamento dovuto all'emergenza sanitaria.

Aprirsi al territorio

L'obiettivo di Agriverde per i prossimi anni è “allargare le esperienze e la rete, sul territorio”. Il settore riabilitativo si trova al San Camillo, un luogo protetto, in cui gli educatori incontrano le persone, imparano a conoscerle e a farsi conoscere, a creare una relazione. Poi c'è un secondo passaggio: insegnare a queste persone a lavorare all'interno di un gruppo, con altre persone, con dei colleghi, degli operatori. Il passo successivo è aprirsi al territorio e uscire dalle mura del San Camillo.

Il San Camillo è una palestra, un luogo di formazione – conclude Raphael – ma è importante portare queste esperienze all'esterno perché quando una persona acquisisce autonomia sul proprio territorio significa che ha acquisito le competenze per esprimersi nel mondo più sereno possibile, con le proprie difficoltà certo, ma dotato degli strumenti per poter riuscire”.



 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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