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Percorsi terapeutici su misura per le Dipendenze Patologiche

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Il Dipartimento di Salute Mentale-Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Bologna si è caratterizzato nell’ultimo anno circa per una serie di avvicendamenti nell’organico per raggiunti pensionamenti. Questo cambio impone di conoscere i nuovi arrivati ai vertici dell’azienda per sapere qualcosa della loro esperienza sui territori in cui hanno lavorato e conoscere gli orientamenti per i loro nuovi incarichi.

Foto Grech

Abbiamo perciò intervistato la dottoressa Marialuisa Grech, direttrice dell’Unità Operativa Dipendenze Patologiche. Laureata in Medicina e Chirurgia con specializzazione psichiatrica all’università di Catania, dopo un periodo di attività nel territorio siciliano prosegue il suo percorso nell’ambito delle dipendenze patologiche come dirigente al SERD di Trento. Un salto non solo di ruolo e competenze, ma anche un brusco cambiamento geografico e culturale caratterizzato da una forte collaborazione, di là da quella con le associazioni, anche con la cittadinanza attiva, indicata come quarto settore.

A Trento ho capito quanto sia importante il sapere scientifico ma non ci si può esimere dal sapere esperienziale. I servizi per le dipendenze nascono per rispondere a due grandi problemi sociosanitari: la morte per overdose e per HIV”. Un’epidemia di cui colpevolmente oggi si parla poco. “La nostra attenzione non si è mai abbassata, cosa che non è successa a livello sociale e informativo. I numeri dell’HIV stanno tornando a crescere. L’uso di sostanze per disinibire il comportamento sessuale porta alla crescita dei contagi”. Dal punto di vista metodologico si cercava in passato una risposta onnicomprensiva per contenere questi fenomeni. La legge 309 del 1990 rendeva le comunità terapeutiche molto importanti, ma c’era poco dialogo con le istituzioni. “A Trento ho provato a fare sintesi e dialogo; ciascuno ha mandati diversi ma bisogna fare squadra. Ecco allora la costituzione di una commissione che ogni due settimane si riuniva per decidere qual era la comunità più adatta per ogni persona che veniva esaminata”. La risposta vincente per la dottoressa Grech è quella del percorso terapeutico “taylor made”, sulla linea del budget di salute.

Sulle dipendenze si concentra un’enorme quantità di pregiudizi. “La paura di uno scippo, di subire violenza è una patente affibbiata al paziente tossicodipendente”. Per questo ritiene necessario un’allargamento a questi temi nella formazione degli studenti specializzandi di psichiatria. “Non esiste una scuola di medicina delle dipendenze”. Ed è proprio nel passaggio a Bologna, dopo tredici anni di esperienza in Trentino, che la dottoressa Grech sta avviando una collaborazione con la dottoressa Diana De Ronchi, dirigente dell’Unità Operativa Diagnosi e Cura, per istituire un percorso di sei mesi all’interno dei SERT che impegni gli studenti universitari a comprenderne l’organizzazione, le modalità, le difficoltà.

A Bologna la dottoressa Grech trova comunque un tavolo già operativo in cui le comunità terapeutiche hanno un momento di confronto e di dialogo e di formazione condivisa. Perché l’uso delle sostanze muta continuamente in base a caratteristiche come il mercato degli stupefacenti, i cambiamenti nel consumo, le ragioni dell’uso. “L’eziologia delle dipendenze è bio-psico-fisica e sociale. Le dipendenze sono complesse perché lo sono nella loro eziopatogenesi. Sono le cartine di tornasole di una società. Una volta la dipendenza era una: quella per eroina. C’era il trattamento farmacologico, soprattutto il metadone, o quello residenziale. Ora le dipendenze patologiche sono multiple. Anche l’eroina non è più utilizzata nelle modalità di una volta. I giovani che fanno uso di sostanze non si riconoscono più nel tossicodipendente. Come il cocainomane non è più un consumatore facoltoso. I giovani stanno manifestando l’uso di sostanze con finalità autoterapiche, per modificare il loro umore”. Per questa ragione bisogna uscire dalla formula del percorso unico valido per tutte le soluzioni: oggi deve essere costruito sulle esigenze e la storia della singola persona, coinvolgendo come parte attiva la famiglia.

Quando si pensa, da profani, alla cura contro le tossicodipendenze immaginiamo un medico che consegna una dose di metadone, visto come una droga sostitutiva. “Il metadone non si prescrive mai a cuore leggero”, spiega la dottoressa Grech, che ha dedicato studi e ricerche sul tema specifico “ma se oggi abbiamo un abbattimento dei morti per overdose è grazie al metadone. Il metadone non guarisce dalla dipendenza. Il metadone è un farmaco che consente una condizione psicofisica tale da permettere di affrancare dalla tossicodipendenza. Inoltre evita di fare rischiare l’overdose. Una volta che si è stabili fisicamente e psichicamente si apre un ventaglio di opzioni che si possono costruire assieme ai servizi e alla famiglia”.

Certo il paziente deve essere motivato, e su questo bisogna avere l’occhio clinico, per capire se si presenta ai servizi per una scelta autonoma e consapevole o perché è stato indirizzato forzatamente da qualcuno. “Il metadone è semplicemente un farmaco. Come tutti i farmaci non va banalizzato. Si lega ai recettori dell’eroina ma non è come l’eroina. Il metadone ha un’emivita di 24 ore e devono passare quattro ore perché dia il suo effetto. L’eroina inizia subito e dura poco come effetto”. Volendo fare un paragone è lo stesso stimolo che i giocatori avevano per la schedina del totocalcio, che si giocava una volta la settimana, mentre ora i numeri delle mille lotterie quotidiane escono ogni tre minuti. “Il metadone è un farmaco salvavita che viene dispensato all’interno di un percorso strutturato”, ma deve esserci la piena collaborazione del paziente e dei familiari. Per questo la dottoressa Grech è una forte sostenitrice di un dialogo democratico e diretto; il medico deve convincersi di non perdere nulla del suo ruolo se viene messo in discussione. “Anche la prescrizione dei farmaci deve essere dibattuta col paziente se necessario”.

Per capire come vanno le cose a Bologna la dottoressa Grech ricorda l’esistenza dell’Osservatorio Epidemiologico che offre delle fotografie settimanali. L’approccio con le sostanze a Bologna è tipico delle città metropolitane, con la presenza di tossicodipendenti senza fissa dimora o in quella parte di popolazione socialmente e psicologicamente vulnerabile. “Ma c’è un forte tessuto associativo con il quale tenere i contatti e collaborare. È arrivato il momento di uscire dalla separazione fra problema clinico e problema sociale. Bisogna fare sintesi. Intendo portare su questo territorio i tavoli di lavoro misti, nei quali il primo cerchio di discussione avviene all’interno del servizio, per poi coinvolgere l’associazionismo e il privato sociale, e infine la cittadinanza, anche con momenti pubblici sul territorio per informare, confrontarsi e riflettere”. E le emergenze più impellenti? “Come primo fenomeno da considerare c’è il cocainismo. Bisogna quindi cercare di dare una risposta per l’utenza giovanile. Infine, ma non ultimo, il caso delle dipendenze al femminile che ha delle caratteristiche e delle sfumature molto particolari”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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